Ai giudici che dovranno cavare fuori da un cassetto la bilancia e pesare i torti di Moris Carrozzieri, noi chiediamo clemenza. Non pietà. La clemenza che è frutto di una meditata valutazione. La clemenza che confina con la giustizia. La clemenza che declina le pene col bisturi dell’esattezza e non con la clava del buon esempio.
In questi giorni, il cronista ha compiuto un viaggio intorno a Moris. La circumnavigazione di un pianeta ignoto, che è onestamente tale al netto della chiacchiere dei soliti bene informati. Un viaggio nato per interesse personale, per cercare di capire davvero l’aura dell’uomo dietro la sniffata di un attimo. Per dare un volto alle chiacchiere e congelarle almeno in una ipotetica realtà.
Alla fine, emerge indissolubilmente il ritratto di una persona sensibile. Uno che entra come una furia nell’antro del magazziniere e chiede maglie rosanero per alcuni tifosi arrivati dalle zone del terremoto. Uno che va alla cena di beneficenza per Mattia, un bambino di San Giovanni La Punta corroso da un male terribile, e manda al diavolo tutti gli altri appuntamenti, pur di esserci con Giovannino Tedesco che ha un cuore inversamente proporzionale alla statura. Uno che prende in braccio quel bambino, uno scricciolo al confronto della sua dimensione gigantesca, e lo consola. E quasi gli spuntano le lacrime nel toccare la tenerezza inghiottita da una sorte nemica. Ecco, signor giudice, le chiediamo appena di essere giusto. Di mettere sul piatto della bilancia il dritto e lo storto. La mano che accarezza accanto alla mano che sbaglia. Salvate il soldato Moris.
Scriveva un tale: “Certe persone si rovinano per un grammo di male”. Vorremmo una storia capovolta, finalmente. Vorremmo scrivere che cento chili di bene bastano a sanare un errore di qualche grammo.