Quando qualcuno che è un diseredato, quale che sia il suo diritto, chiede soccorso, perché commentare in calce, come ha fatto il ministro Salvini, secondo quanto riportato dalle cronache: “La Sea Watch in Italia non ci arriva, possono stare lì fino a Natale. In tredici giorni se avessero avuto veramente a cuore la salute dei migranti sarebbero andati e tornati dall’Olanda…”. Che c’entra il Natale? Non basterebbe argomentare, in qualunque senso, con una più solerte prudenza suggerita, magari, dall’umanità?
D’accordo, si parlava di una nave che è tra i bersagli mirati, i simboli e le trincee di polemiche politiche recenti e urticanti. Ma lassù ci sono appunto persone con il loro carico di ferite. Devono aspettare davvero il Natale? E di quale anno? Parlando di quella nave si parla, che si voglia o non, di volti sofferenti, ripresi da un video-appello straziante, delle piaghe e del sole che picchia su esseri umani. Altro che pacchia…
Le parole sono importanti nella vicenda attuale come nel resto. Come sempre. E andrebbero regolate con attenzione, perfino nei semitoni, specialmente da chi ha responsabilità importanti.
E forse bisognerebbe coltivare una maggiore cura, quando si chiacchiera di imbarcazioni che recano in dote l’umanità dolente. Se non altro perché nessuno può dirsi certo che mai si troverà dalla parte sbagliata del naufragio.