Salvuccio, Mourinho, lo striscione: il cuore grande dello Zen

Salvuccio, Mourinho, lo striscione: il cuore grande dello Zen

Fortunato, che ha perso un figlio, racconta la speranza del quartiere.

(Roberto Puglisi) Salvuccio Gebbia, morto a sedici anni in un incidente stradale, quindici anni fa, è un sorriso adolescente seminato nel cuore di sua madre e di suo padre. Nel cuore bello dello Zen e dei tanti che gli vogliono bene. Sarebbe diventato un campione, Salvo, un calciatore importante. Aveva i piedi, la testa e l’anima: tutto allineato nel modo giusto. Torniamo a raccontare la sua storia, perché, nonostante il lutto e la tragedia, offre il dettaglio di una storia d’amore in un quartiere che è sempre sulla bocca di tanti per motivi poco nobili. Quando non si scrive di sparatorie, di droga e di retate, si scrive di una preside antimafia, la professoressa Daniela Lo Verde, accusata di avere rubato perfino il cibo ai bambini.

Di questo ragazzo dice tutto suo padre, Fortunato, valente pasticciere. Da quando il suo amato figlio non è più fisicamente con lui, lo ha portato in giro per farlo rivivere.

“Salvuccio era un predestinato – racconta Fortunato Gebbia -. Tutti quelli che lo hanno incontrato sono d’accordo nel riconoscere che aveva un grande talento e che l’avremmo visto in serie A. Oltretutto, viene da una famiglia che al pallone ha dato sempre del tu. Due anni fa, ho preso uno striscione dedicato a mio figlio e sono andato a San Siro a vedere Inter-Juventus che è finita uno a uno. Salvuccio era innamorato dell’Inter. All’inizio non volevano farmi passare, poi ho spiegato il motivo e si sono inchinati tutti. Ora posso dire che io e Salvuccio abbiamo visto l‘Inter insieme”.

Non era la prima volta di Fortunato, in uno stadio, nel nome di Salvo. “Sono stato al Bernabeu, a vedere la finale di Champions tra Inter e Bayern Monaco, grazie ad Alessio Cacciato che era il suo allenatore e ha contatti in società. Ricordo la gentilezza e l’affetto della signora Giovanna, moglie del grandissimo Giacinto Facchetti. I giocatori e il mister firmarono una maglia per noi. Ho sempre avuto ammirazione per Josè Mourinho: un grande allenatore e una persona sensibile. E conservo una memoria stupenda del grande presidente Moratti…”.

Negli anni, il quartiere è stato vicino alla famiglia Gebbia, nonostante la cronaca di un furto che narriamo brevemente qui. “Tanta gente – dice Fortunato – non ci ha mai abbandonato. In parrocchia, c’è una stanza dedicata a mio figlio, dove i bambini fanno il doposcuola. Ero molto legato a padre Miguel, ora c’è padre Giovanni che abbiamo incontrato l’altra volta, che mi ha invitato e che si sta comportando come un amico”. Ed è una parentesi di speranza e di vicinanza che va squadernata, in giorni bui e difficili, sulla scorta di una vicenda che lo Zen ha subito, quella della preside Lo Verde. Questo è il cuore vero dello Zen.

“Siamo rimasti scioccati – dice Fortunato – Io allo Zen 2 ci ho abitato per dodici anni. Ancora adesso che mi alzo alle cinque vedo padri di famiglia che si danno da fare per lavorare, pure lì. Cosa voglio dire? Che qui c’è moltissima gente perbene, che suda e si guadagna il pane e che non meritava di leggere certe notizie sui giornali. I miei figli frequentavano lì quando c’era il preside Domenico Di Fatta. Mi fa piacere che sia tornato lui, è un gentiluomo. Ma la politica vuole dare allo Zen un po’ di dignità, finalmente?”.

La telefonata si chiude con i saluti tra un valente pasticciere e di un cronista che si sono conosciuti, anni fa, in un momento atroce. “Te l’immagini mio figlio in serie A? Ci manca terribilmente. Però io so che sta giocando a calcio con Dio”. (rp)


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