Sangue di gelsomino - Live Sicilia

Sangue di gelsomino

"Così mi salvai dalla strage"
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Ad Acicastello c’è una siepe di gelsomino, sopra un cancello verde. Segna la rotta del maniero che domina la piazza e dà il nome al paese. Conduce dritto fino all’odore del mare.

L’odore del mare di Acicastello è un pezzo unico nella galassia dell’olfatto. Ti resta dentro. Si appiccica a qualcosa che, con un po’ di buona volontà, potresti perfino chiamare anima. Chissà che c’era, in quel giorni di maggio, nell’anima di Giuseppe Leotta, 32 anni, precario, inteso “Pippo ‘u Pazzu”.
A maggio i gelsomini profumano con violenza. E sono talmente dolci da provocare un senso di smarrimento della ragione che, in certi casi, diventa follia.
Pippo percorse il lungomare, in quel giorno di maggio. La sua ombra accarezzò i fiori posati sul davanzale delle grate. Arrivò all’imboccatura del municipio. E fece una strage, con la sua pistola. Il primo a morire fu un pensionato, Giuseppe Castorina, che prendeva il sole su una panchina arrugginita. Poi, toccò a Rita Mammino e Maria Cappadonna, impiegate del Comune. Poi toccò al sindaco, Michele Toscano. Poi, toccò a Salvatore Li Volsi, lsu. Poi, non è che restasse molto altro da fare. Pippo il pazzo sequestrò un automobilista, lo costrinse ad accompagnarlo in una chiesa di Vittoria, in provincia di Ragusa, mentre tutto il mondo lo cercava. Si uccise, con un colpo alla tempia, davanti alla statua della Madonna.
Questa è la storia dell’uomo che scampò incredibilmente a quella mattanza. Per raccontarla, nella terrazza della sua casa di Aci Castello, ha chiesto e ottenuto soltanto due cose: l’anonimato e un bicchiere di latte di mandorla.
“Lavoro come impiegato al Comune da circa trent’anni. Conoscevo Pippo, un tipo strano ma di quelli che – almeno pensi – non farebbero del male a una mosca. Lo chiamavano pazzo, quasi con affetto irridente. E nessuno gli dava conto. Quel giorno ero quasi allegro, non è che avessi un motivo speciale. O forse sì. Avevo rimesso a nuovo il mio vecchio canotto rattoppato, il canotto con cui da ragazzini navigavamo tra gli scogli di Aci Castello. Sai, all’epoca il mare qui era bellissimo. Mandava odori che non dimentichi più. Ma l’hanno inquinato. Il paese è stato scoperto dal grande turismo. Insomma, non voglio apparire noioso. Forse i ricordi sembrano migliori della vita di ora, perché eravamo giovani. O magari c’è un fondo di verità”. Una lunga sorsata al latte di mandorla, macchiato con un goccio di caffè. Una profonda inspirazione d’aria. Il racconto riprende. “Quel giorno ero felice per il canotto, ti dicevo. Vado in municipio, saluto il sindaco, chiudo la porta. E sento i primi spari”. Pippo che non avrebbe fatto mai del male una mosca ha già ucciso il pensionato. Entra nella stanza della voce narrante. “Sì, entra ed è una furia. Spara alle mie colleghe. Mi fissa con due occhi terribili. In quel momento, mi rendo conto di essere già morto. Non so come reagire. Tento di togliergli la pistola che gli cade dalla mano. Lui mi spinge, la afferra e la punta contro di me. Stavolta, sono morto davvero”. Un’altra boccata di aria e di latte di mandorla. “Mi fissa ancora. Ha due occhi che non scorderò mai più. Sono disperato, non so perché, provo a parlargli: ‘Mi vuoi uccidere? Pippo mio, che ti ho fatto?’. Lui forse si ricorda che sono stato sempre gentile. Risponde: ‘Alzati, scappa e non voltarti. Non ti ammazzo’. Mi tiro su, non so con quali forze, infilo il corridoio, senza correre, per non innervosirlo. Sono attimi interminabili. Immagino, a ogni secondo, il botto e un ago rovente che mi entra nella schiena. Immagino che non mi risparmierà. Ha ucciso altre persone, perché dovrebbe salvarmi? Invece va proprio così. Esco dal municipio. Mi attacco a un telefono e chiamo mia moglie. Mi tremano le mani, piango”.
Pippo ha la sua missione di morte. La completa. Sequestra un automobilista. Si spara davanti alla statua della Madonna. Pippo ‘u Pazzu, tradito dal sangue di gelsomino e dalla sua anima, in un giorno di maggio.
Anche adesso ci sono gelsomini in terrazza, appesi a un cancello verde, ad Aci Castello. Un uomo beve un bicchiere di latte di mandorla e piange. Come allora. Le voci dei ragazzi sui canotti, in lontananza, si confondono col luccichio del mare. R.P.


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