Sangue e morte a Belmonte| Modello corleonese di violenza - Live Sicilia

Sangue e morte a Belmonte| Modello corleonese di violenza

Il luogo dell'omicidio di Alessandro Agostino Migliore

Tre omicidi e uno tentato: che succede nel piccolo comune in provincia di Palermo

PALERMO – C’è un minimo comune denominatore fra i quattro episodi di sangue avvenuti a Belmonte Mezzagno. I tre morti ammazzati e il quarto che è scampato al piombo erano tutti legati a Filippo Bisconti, il capomafia che ha scelto di pentirsi (leggi l’articolo).

Non si tratta, però, di una vendetta, piuttosto chi li ha uccisi ha capito che senza la protezione del boss era più facile regolare i conti.

Quali conti? Ecco il nodo cruciale delle indagini della Direzione distrettuale antimafia. Di affari sporchi in paese ne sono stati fatti parecchi. Ma non è solo per i soldi che si ammazza. Sono anche piccoli screzi a scatenare la violenza. Il che fa ancora più paura.

Belmonte Mezzagno è un paese con 11 mila abitanti. Tre morti ammazzati e uno vivo per miracolo in un piccolo centro: la statistica è preoccupante. A Belmonte si preme il grilletto più di quanto avvenga nell’intera provincia palermitana. Si sceglie di seguire il modello corleonese in una mafia che corleonese non lo è più.

Vincenzo Greco, Antonino Di Liberto e Alessandro Agostino Migliore sono stati vittime di sicari professionisti. Hanno fatto tutto ciò che serviva per raggiungere l’obiettivo e dileguarsi. È andata meglio a Giuseppe Benigno, inseguito invano in un tardo pomeriggio di dicembre mentre era in macchina da due uomini a bordo di uno scooter (leggi l’articolo sull’inseguimento in diretta). Era lo stesso Benigno a spiegare, senza sapere di essere intercettato, che a Belmonte non c’è una guerra di mafia. È vero, c’è una fazione al potere a cui preme regolare i conti. Quali conti? La domanda si ripete.

Il nome di Alessandro Agostino Bisconti non salta fuori dalle recenti inchieste, compresa quella che ha portato in carcere il fratello Giovanni, lui sì considerato organico a Cosa Nostra. La voce della vittima è rimasta impressa nei nastri magnetici solo quando, un paio di volte, qualcuno è andato nel suo supermercato per cercare il fratello. Di lui si parlava solo quando gli investigatori annotavano che il fratello se ne andava in giro con una Audi intestata ad Alessandro Agostino. È l’auto a bordo della quale venerdì mattina è stato ammazzato.

La verità è che il mandamento mafioso di Belmonte Mezzagno è sempre stato segnato da efferati fatti di sangue. Fino agli anni Novanta ad esprimere il capo era la famiglia di Misilmeri. Nel 1991 viene ucciso in circostanze misteriose il boss Pietro Ocello. Totò Riina considerò l’omicidio una mancanza di rispetto nei suoi confronti e affidò a Pietro Lo Bianco, che di Ocello era il braccio destro, il compito di individuare l’assassino. Ultimato il suo compito Ocello viene costretto a farsi da parte per lasciare il posto a Benedetto Spera.

Lo Iacono non ci sta e cominciano a contarsi i morti per strada. Alla morte nel 1994 scampò lo stesso Spera, ma non il cugino Giuseppe Tumminia e suo figlio Giuseppe. Tra i killer c’era Filippo Casella, assassinato pochi mesi dopo. Nel 1995 sotto i colpi dei killer cade Pietro Lo Bianco. Sembrava la fine delle ostilità. Sembrava, appunto perché nel 1999 vengono assassinati due uomini legati a Spera: Antonino Chinnici e Angelo Bonanno.

Seguirono gli anni dello scontro fra Benedetto Spera e Ciccio Pastoia, con il primo che tenta di uccidere il genero del secondo Giacomo Greco. Nel 2001, dopo sette anni di latitanza, Spera viene arrestato in un casolare a Mezzojuso. Pastoia sale al potere, nel 2005 finisce in carcere. Si scopre che sta tramando alle spalle di Provenzano e si suicida in carcere.

Tra il 2005 e il 2006 la reggenza della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno viene affidata a Benedetto Tumminia, e al figlio Michele Salvatore, imparentati con Spera. Ed è propri uno Spera, Antonino, che si riprende il potere nel 2007. Il blitz Perseo rimescola le carte.

E arriviamo fino ai giorni nostri, quando il potere passa in mano a Filippo Bisconti e Salvatore Sciarabba. Quando entrambi nel dicembre 2018 sono finiti in carcere ecco emergere di nuova la figura di un membro della famiglia Tumminia, Salvatore Francesco, 46 anni, già coinvolto nel blitz Perseo del 2008, condannato per mafia, figlio di Giuseppe e fratello di Giovanni, rimasti uccisi nel 1991 nell’agguato in cui il boss Benedetto Spera rischiò di essere ammazzato.

 

 


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