CATANIA – Una trasfusione di sangue infetto in una struttura sanitaria catanese, la scoperta della malattia, il lungo calvario giudiziario di una famiglia. Sono i capitoli di una storia che si è conclusa da poco con un risarcimento milionario ai familiari di un uomo morto nel 2012. Sia in primo grado che in appello, la giustizia ha stabilito un legame di causa-effetto tra la trasfusione infetta e la morte dell’uomo.
La trasfusione di sangue infetto
La storia inizia nel 1988, quando il signor Carlo (nome di fantasia) si ricovera per un intervento chirurgico in una struttura sanitaria catanese. Nel corso di questo ricovero il personale medico fa al signor Carlo una trasfusione di sangue e plasma.
Avanti di nove anni. Nel 1997 l’uomo fa degli esami del sangue di routine e scopre di avere contratto l’epatite C. Una patologia che ci mette molto tempo a manifestarsi, e per questo né il signor Carlo né i suoi familiari collegano la positività al virus epatico alla trasfusione di sangue del 1998. L’epatite provoca una cirrosi epatica e poi un tumore, di cui il signor Carlo muore nel 2012.
La battaglia legale e il risarcimento
Due anni dopo il lutto, vedova e i figli del signor Carlo promuovono giudizio di fronte al tribunale di Catania, assistiti dallo studio legale Frisiani di Firenze. Il primo grado dura otto anni: nel 2022 la corte riconosce la responsabilità del ministero della Salute per omessa attività normativa e carenza di vigilanza, condannandolo a risarcire i familiari. Nel corso del dibattimento il consulente tecnico del tribunale accoglie la tesi sostenuta dai familiari e dallo staff medico-legale che li assiste secondo cui plasma e sangue trasfusi erano stati il veicolo dell’infezione, poi diventata letale.
Un anno dopo la corte d’appello di Catania conferma il giudizio di primo grado, dando il via al processo di risarcimento. Proprio in questi giorni la famiglia ha ricevuto, tramite i propri legali, gli assegni per un totale di un milione e duecentomila euro.
Il commento dei legali
A dare notizia della vicenda è lo stesso studio legale dell’avvocato Pietro Frisiani, che in una nota scrive: “Quella del risarcimento è una cifra importante e non comune per gli importi riconosciuti in questi casi agli eredi superstiti, che indennizza la tragedia di una famiglia che ha perso ingiustamente il proprio caro”.
Commenta Elisa Ferrarello, membro dello staff dello studio Frisiani: “Sarebbe interessante se vi fosse un’informazione a favore dei fruitori dei servizi sanitari, come quello previsto per i consumatori in generale, dato che non avere informazioni comporta il perdere un diritto. Spesso le persone non sanno che hanno diritto a un risarcimento e sono abbandonate all’iniziativa individuale. Spesso scrivono al nostro studio parenti di vittime dell’amianto, ma ci scrivono troppo tardi per potere fare qualcosa, quando i casi sono già in prescrizione. Dovrebbe esserci un soggetto terzo, imparziale, che fornisca le informazioni sui diritti di chi fruisce servizi sanitari”.