Sanità (sempre) in emergenza - Live Sicilia

Sanità (sempre) in emergenza

Negli ultimi anni a Palermo sono stati chiusi quattro Reparti specialistici tra Villa Sofia, Cervello e Ingrassia. E i tagli e gli accorpamenti, mascherati da “lotta allo spreco”, non sono destinati a finire. Ecco perché la salute è un optional.

Il format del servizio è sempre uguale. Che l’inviato di Striscia sia Ghione da Roma (Ospedali Sant’Andrea e San Camillo) o Luca Abete da Napoli (Ospedali San Giovanni Bosco e Cardarelli), la prima inquadratura mostra il giornalista in piedi con il microfono in mano e l’ingresso del Pronto Soccorso sullo sfondo. Poi si passa alle interviste ai pazienti o ai loro familiari con le telecamere nascoste che indugiano sulle barelle e sui pappagalli per le urine poggiati sulle sedie. Quindi, la conta dei giorni d’attesa in quella situazione di disagio (“Da quanti giorni, signora ?”), una domanda che mi ricorda il “Quante volte, figliolo?” che mi allontanò quasi definitivamente dal sacramento della Confessione. E infine l’intervista, dai toni più o meno agitati, al malcapitato di turno in camice messo alla gogna come reo, ma in effetti vittima come tutti gli altri di un’emergenza che ormai è routine quotidiana degli ospedali italiani.
Esemplare la risposta del direttore del San Camillo: “Perché non riapre il reparto di Geriatria che potrebbe accogliere 40 pazienti ?”. Risposta: “Mi facciano assumere venti infermieri e lo riapro domani mattina”. Elementare, Enzino. Solo che non fa scoop. E dopo il servizio, il consueto cazzeggio di quei due simpaticoni che continuano a divertirsi da matti, incuranti degli anni che passano e delle rughe che si approfondiscono.

Non è certamente uno scoop da Premio Pulitzer la notizia che i Pronto Soccorso degli ospedali italiani, più che aree di emergenza, sono aree in emergenza. Zone in cui si annullano le tradizionali differenze territoriali tra il Nord probo e organizzato e il Sud sprecone e pasticcione. Almeno a giudicare dalle recenti notizie sul collasso di templi dell’efficienza dell’organizzazione sanitaria come il Fatebenefratelli di Milano e il San Martino di Genova. Se gli amici di Striscia riuscissero a guardare oltre la punta del microfono, forse capirebbero che il problema è molto più complesso e prescinde dalle responsabilità dei singoli, essendo invece “di sistema”. In questi tempi di crisi l’ospedale, che ha nel Pronto Soccorso la porta d’ingresso spalancata h24, è ormai un grande ammortizzatore sociale cui ricorrere non solo per le emergenze.

Ad esempio, quando il medico di famiglia non c’è o quando il privilegiato che ha un lavoro non ha il tempo di accompagnare il proprio vecchio o il proprio bambino dal dottore. Oppure quando mancano i soldi per pagare il ticket o la visita domiciliare. O infine quando si ritiene di non poter attendere per una prestazione non urgente che, per ragioni di disponibilità delle stesse strutture e dello stesso personale, viene fissata alle calende greche. Come puntualmente denunciano, ancora una volta, i Ghione e gli Abete. Si va al PS e si accusa un malanno. Magari aggredendo il personale o brandendo il solito grimaldello: “E se poi vado a casa e sto male, vi denuncio e finite tutti sul giornale”. O su Striscia, che è ancora meglio. Ma al di là dell’uso improprio o strumentale dei Pronto Soccorso, il problema principale risiede nel costante incremento della domanda di ricoveri cui si contrappone una contrazione dell’offerta di posti letto. Non è neppure troppo arduo da comprendere: gli ospedali italiani sono troppo pieni, proprio come sarebbe la vasca di casa nostra se il rubinetto perdesse e contemporaneamente lo scarico fosse intasato.

Riusciamo a far convivere i pazienti sempre più a lungo con malattie croniche invalidanti, mentre il Sistema Sanitario ha fallito lo sbandierato piano di potenziamento della Medicina Territoriale, preludio indispensabile alla de-ospedalizzazione dell’assistenza. Con i dovuti investimenti, il piano prevedeva l’apertura di Punti Territoriali di Emergenza (PTE) o di Assistenza (PTA), i consorzi tra medici di famiglia, gli ambulatori infermieristici, la maggiore disponibilità di personale e mezzi per l’ospedalizzazione domiciliare e l’apertura di residenze sanitarie assistite (le “Case della Salute” del Presidente del Lazio Zingaretti) capaci davvero di offrire qualcosa in più di un semplice ospizio. Poco o nulla di tutto questo è stato realizzato. Al contrario, prendendo come esempio la mia specializzazione (la Pneumologia), a fronte dei dati epidemiologici che indicano un incremento costante della domanda di salute respiratoria, negli ultimi anni a Palermo sono stati chiusi quattro Reparti specialistici tra Villa Sofia, Cervello e Ingrassia. E i tagli e gli accorpamenti, mascherati da “lotta allo spreco”, non sono destinati a finire. Anche se il nostro Sistema Sanitario, oltre che di posti letto, è già carente rispetto agli standard europei anche di medici, infermieri, operatori socio-sanitari, strutture logistiche e risorse per l’aggiornamento professionale e tecnologico. Solo pochi giorni fa la Corte dei Conti ha messo nero su bianco che “senza investimenti nella Sanità, soprattutto nell’assistenza domiciliare e territoriale e nell’ammodernamento tecnologico, sono a rischio i Livelli Essenziali di Assistenza”, ossia lo standard assistenziale minimo garantito a ogni cittadino.

Lo chiedo umilmente da dilettante della scrittura ai professionisti del giornalismo di inchiesta: non vi siete ancora stancati di scoprire l’acqua calda ? O meglio, quella che tracima da una vasca troppo piena ? Guardate un po’ più in là; più in alto, intendo. Chiamate l’idraulico e non picchiate la serva che corre ad asciugare un pavimento sempre bagnato. Come Sisifo, condannato da Giove a spingere il masso in cima alla montagna per poi vederlo rotolare ogni giorno giù in basso. Perché noi tutti che indossiamo un camice e che in quelle corsie ci passiamo più tempo che in casa nostra, saremmo i primi a sperare di lavorare con maggiore dignità professionale e sicurezza. Ad ambire che ai nostri pazienti fosse garantito il diritto, piuttosto che il privilegio, di esser curati in ambienti decorosi e confortevoli. E ci piacerebbe tanto smettere di constatare ogni giorno che passa che l’ospedale in cui lavoriamo assume sempre più le sembianze della montagna di Sisifo.


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