Sanremo, il giudice e il sopravvissuto: 'Saviano non strumentalizzi Falcone'

Sanremo, il giudice e il superstite: ‘Saviano non usi Falcone’

Il ricordo delle stragi a Sanremo. Parlano i protagonisti di quel periodo.
SANREMO - LA POLEMICA
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Quegli anni. Anni di sangue e di bombe. Anni di cronaca nera e di storie tremende. Ma per qualcuno quella cronaca che si leggeva sui giornali – nella conta dei morti ammazzati – era biografia direttamente innervata nelle proprie emozioni, nei propri pensieri. Gli anni delle stragi e degli amici da seppellire. Persone con cui avevi condiviso l’aria che respiravi che smettevano di respirarla. E, accanto al dolore, il pensiero fisso: il prossimo potrei essere io.

Stasera, a Sanremo, lo scrittore Roberto Saviano narrerà il crepaccio luttuoso delle stragi, partendo dal buco atroce di Capaci. Lo farà da una ribalta che si presta a una domanda condivisa: com’è possibile accostare quella immane tragedia alle canzonette? Molto dipenderà dal tono della narrazione, eppure, di per sé, l’avvicinamento può apparire incongruo Almeno nel giudizio di coloro che quegli anni terribili li hanno vissuti davvero. E lasciamo da parte la polemica politica che con la memoria non c’entra nulla.

Giuseppe Di Lello era uno dei punti fermi del pool antimafia, guidato da Nino Caponnetto, che schierava Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un eroe ‘nascosto’ che non ha mai rivendicato visibilità o riconoscimenti. Ora, dice a LiveSicilia.it: “Non sono affatto d’accordo nel trascinare Falcone e Borsellino dentro le canzonette di Sanremo, specialmente da parte di Saviano che ha recensito con entusiasmo il libro della Boccassini, senza accorgersi del discredito gettato su Falcone e del mancato rispetto per i morti e per i vivi”. Sono parole non levigate, con il riferimento esplicito al libro della dottoressa Ilda Boccassini, in cui c’è la rappresentazione di un legame affettivo con Giovanni Falcone, un testo che ha sollevato molte polemiche a proposito di memorie e discrezione.

E non è solo il dottore Di Lello a pensarla così. Anche Giovanni Paparcuri, sopravvissuto, con ferite gravissime, alla strage Chinnici e in seguito diventato il principale collaboratore di Falcone e Borsellino, offre un’idea che ricalca il concetto. “Approfittare di una manifestazione canora per parlare delle stragi è fuori luogo – dice Paparcuri – si strumentalizza un periodo indimenticabile. Che c’entra Capaci con le canzoni, con tutto il rispetto? Che c’entra via D’Amelio? Lo so che siamo nel trentennale, ma, per me, trent’anni o un giorno cambiano poco. Sembra ieri. Non c’è minuto in cui non pensi al dottore Falcone e al dottore Borsellino, con affetto e tristezza. Loro, come il dottore Chinnici e tutti quelli che hanno perso la vita nella lotta alla mafia, sono sempre presenti”.

Ci sono anche vittime del sangue del ’92, che portano avanti un impegno prezioso, che la pensano diversamente: “Ricordare il sacrificio di mio fratello Giovanni e di Paolo è stato lo scopo del mio impegno di questi trent’anni insieme alla sensibilizzazione delle nuove generazioni ai temi della legalità. Perciò, ritengo molto importante che se ne parli in un contesto come quello del festival di Sanremo che per popolarità raggiunge tantissimi milioni di italiani. Solo continuando a rinnovare il ricordo degli uomini che hanno speso la loro vita per la nostra democrazia possiamo pensare di costruire un Paese più giusto”. Così, in un lancio dell’agenzia Adnkronos, Maria Falcone, sorella del giudice.

Stasera, comunque, ascolteremo le parole di Roberto Saviano. Sono già passati trent’anni da quando il cuore degli onesti fu travolto dalla violenza mafiosa. E sembra ieri.


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