PALERMO – Quattordici anni per Cosimo Vernengo e quindici per Giuseppe Urso. Sono pesantissime le pene inflitte ai due principali imputati del processo nato dal blitz denominato “Falco”. Arrestati ingiustamente per la strage di via D’Amelio, scagionati, scarcerati e poi di nuovo in cella per mafia. Il tribunale presieduto da Fabrizio La Cascia ha accolto quasi del tutto le richieste di pena dei pubblici ministeri Dario Scaletta e Felice De Benedittis.
Erano imputati con l’accusa di avere fatto parte del mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù. Un mandamento che faceva cassa con le estorsioni, il pizzo e le scommesse clandestine. Sono stati assolti Antonio Capizzi e Giuseppe Ribaudo per trasferimento fraudolento e Giuseppe Ribaudo. I legali di Capizzi, gli avvocati Igor Runfola e Giovanni Castronovo, hanno dimostrato che i soldi investiti dall’imputato per aprire un’agenzia di scommesse avevano una provenienza lecita.
In particolare, si trattava di una parte degli oltre 100.000 euro incassati per l’ingiusta detenzione patita da Capizzi nell’ambito del blitz Perseo del 2007.C anni ha avuto Giuseppe Tinnirello per estorsione e rissa. Giuseppe Confalone due anni e otto mesi, Giovanni Acquaviva un anno, entrambi per favoreggiamento.
Assolto anche Gaetano Dell’Oglio dall’accusa di favoreggiamento.
“… domani… ce ne saranno che ci devono restare male… ce ne saranno scontenti”, diceva l’anziano boss Salvatore Profeta, oggi deceduto. La conversazione intercettata era del 9 settembre 2015, alla vigilia del summit in cui furono ratificate le nomine del clan. In tanti, aggiungeva l’anziano capomafia, “si immaginavano che gli si dava qualche… qualche carica… “.
Fra gli scontenti non c’era certo Giuseppe Greco che del mandamento sarebbe stato nominato reggente: “… per Pino… non… tanto assai no… perché già è… è scontato”. L’inchiesta dei carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Palermo ricostruiva le elezioni di Cosa nostra. Nel mandamento mafioso erano fedeli alle tradizioni. Salvatore Profeta, oggi deceduto, una volta che si era scrollato di dosso l’accusa di avere partecipato alla strage di via D’Amelio – è uno degli ergastolani scarcerati quando sono state smentite le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino – decise di restare fuori dalle cariche formali. Era il grande vecchio a cui rivolgersi per ogni esigenza. Anche Vernengo aveva una comprensibile fretta di tornare all’opera. Pure lui era rimasto nove anni in carcere sapendo di essere innocente per la strage. A fine 2017 il blitz denominato “Falco” azzerò il clan.