PALERMO – «Perché» domandò il panellaro, meravigliato e curioso «hanno sparato?». Il venditore di pane e panelle del primo capitolo de “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia è l’emblema della connivenza passiva di chi sa ma fa finta di non sapere. Eppure si trova lì, nella piazza dove viene commesso l’omicidio con cui si apre il libro pubblicato nel 1961.
Sessant’anni dopo, pochi giorni fa, nel rione palermitano Zen, la realtà ci dimostra che il lavoro di Sciascia ha un valore documentaristico oltre che letterario. L’asticella del silenzio connivente si alza, però. A negare non sono i testimoni presenti ma volutamente distratti, circostanza già di per sé grave, ma le vittime di un agguato.
Contro Giuseppe, Antonino Colombo, padre e figli, hanno sparato una pioggia di colpi. Li hanno inseguiti, facevano fuoco ad altezza d’uomo per ammazzarli. Sono riusciti a nascondersi dietro le macchine parcheggiate e a scappare. A impugnare le pistole sarebbero stati i fratelli Letterio e Pietro Maranzano, per i quali il giudice per le indagini preliminari ha convalidato il fermo e restano in cercare.
La negazione dell’evidenza si fa patologica. Non di una patologia alimentata da moralismo a buon mercato e giudizi sommari, ma è doveroso chiedersi perché. Perché chi scampa al piombo nega di conoscere chi lo vuole morto? Perché si spinge a sostenere di non avere motivi di astio con qualcuno nonostante poche ore prima dell’agguato sia stato aggredito con una testata davanti a un bar?
Delle due l’una: o si sbagliano i poliziotti, i magistrati e la donna testimone chiave che dice di avere assistito al tentato omicidio oppure le vittime mentono.
I pubblici ministeri scrivono che “i Colombo si sono trincerati dietro il muro dell’omertà e del silenzio alimentati dalla linfa della paura e del terrore”. Paura della forza di chi ha sparato e dei “complici che con freddezza si sono adoperati per ripulire con meticolosità quasi certosina da qualsiasi traccia della sparatoria la scena del crimine”.
Se sono i Marazano gli autori del tentato omicidio, e i Maranzano sono in carcere, in giro restano altre persone di cui temere la reazione. Tante persone visto che la testimone dice che sono arrivate a bordo di cinque macchine e diversi scooter e motociclette.
Giuseppe e Antonino Colombo sono stati curati all’ospedale Villa Sofia. Il padre, sentito dai poliziotti della squadra mobile, prima ha fatto dei riferimenti ai Maranzano, ma alla fine si è rifiutato di firmare il verbale. Non ha alcuna voglia di “passare per sbirro”.
Il figlio Fabrizio, invece, il verbale lo ha sottoscritto: “Oggi pomeriggio intorno alle ore 14:40 mi trovavo in strada con i miei familiari, mio fratello Antonino e mio padre a discutere del mio imminente matrimonio. Con mio fratello Antonino abbiamo attraversato la strada siamo saliti a bordo di della macchina di Antonino”.
E poi? “Queste persone hanno tirato fuori le pistole ed hanno sparato contro mio padre il quale è caduto a terra e quindi anche verso mio fratello. A quel punto io e mio fratello siamo scesi dalla nostra autovettura per soccorrere mio padre che perdeva sangue anche ad un braccio”.
Chi ha sparato? “Non conosco chi ha estratto la pistola e ha sparato… al bar non abbiamo incontrato nessuno, non abbiamo avuto alcuna discussione con nessuno, non ho mai avuto a che dire con nessuno e che io sappia nemmeno mio padre mio fratello”.
I poliziotti insistono, ne è sicuro? “Sì, lo confermo”. E adesso rischia l’incriminazione per favoreggiamento. Ha aiutato, secondo l’accusa, coloro che lo volevano morto. Perché? Per omertà o per “connivenza passiva”. Oppure perché vittime e carnefici si nutrono dello stesso humus, condividono spesso gli stessi interessi illeciti.
Oppure hanno negato “semplicemente” per paura. Vivono tutti insieme, spalla a spalla, nello stesso quartiere dove la cronaca ricorda, con una cadenza allarmante, che qualcuno è pronto ad armarsi e fare fuoco. La violenza è una regola. Nella giungla dei palazzoni vige la legge del più forte, che schiaccia i meno forti e pure le persone perbene che vivono nel quartiere.
Sono tanti gli episodi avvenuti. Morti ammazzati e gente scampata alla morte. Non è una giustificazione al silenzio, ma è un dato di fatto. Così come è un dato di fatto che una donna ha fatto una scelta diversa. Ha raccontato i particolari della vicenda, ha fatto nomi e cognomi e ora viene protetta. Da lei i Colombo hanno preso le distanze? “Non è una nostra parente”.