Scandalo Saguto, il verdetto: in cosa spera l'ex giudice - Live Sicilia

Scandalo Saguto, il verdetto: in cosa spera l’ex giudice

Sotto processo l'ex presidente della sezione di misura di prevenzione e una serie di amministratori giudiziari
CALTANISSETTA
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È il giorno della sentenza di appello. Silvana Saguto e gli altri imputati conosceranno il verdetto dei giudici di Caltanissetta intorno all’ora di pranzo. La corte presieduta da Marco Sabella si è ritirata in camera di consiglio.

Al termine della requisitoria il pubblico ministero Claudia Pasciuti, applicata anche al secondo grado, ha chiesto una pena più severa per l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo: 10 anni contro gli 8 anni e 6 mesi inflitti in primo grado.

Cosa sostiene l’accusa e come replica la difesa.

Richieste più pesanti anche per l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara (8 anni e 3 mesi), per il marito di Saguto Lorenzo Caramma (6 anni e 10 mesi), per il professore della Kore di Enna Carmelo Provenzano (7 anni e 2 mesi), e per un altro amministratore giudiziaria, Roberto Nicola Santangelo (6 anni, 4 mesi).

Per gli altri imputati è stata chiesta la conferma della sentenza di primo grado. Sono l’avvocato ed ex amministratore giudiziario Walter Virga, un anno e 10 mesi; Emanuele Caramma, figlio di Saguto, sei mesi; Roberto Di Maria, preside della facoltà di Giurisprudenza di Enna, due anni e otto mesi; Maria Ingrao, moglie di Provenzano, quattro anni e due mesi; Calogera Manta, cognata di Provenzano, quattro anni e due mesi; il colonnello della Dia Rosolino Nasca, quattro anni; l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, tre anni.

Erano stati assolti Vittorio Saguto, padre dell’ex magistrato, l’amministratore giudiziario Aulo Gigante e Lorenzo Chiaramonte, ex giudice della sezione Misure di prevenzione.

In primo grado i giudici stabilirono che gli imputati avevano “il loro baricentro attorno al perno del reato corruttivo”. Favori, assunzioni e soldi in contanti. Una stagione buia per la magistratura siciliana. Silvana Saguto, la donna tutta d’un pezzo che sequestrava i beni ai mafiosi e agli imprenditori che avrebbero costruito le loro fortune all’ombra di Cosa Nostra, fu travolta dallo scandalo e radiata dalla magistratura.

La difesa sostiene l’innocenza degli imputati, ma fa i conti con tempi e capi di imputazione. Uno dei momenti chiave dell’inchiesta dei finanzieri del Nucleo speciale di polizia economico-finanziaria di Palermo è datato giugno 2015, quando Cappellano avrebbe portato a casa Saguto, e di sera, 20 mila euro dentro un trolley.

“Erano documenti”, ha ribattuto la difesa. La cifra accertata, così ha stabilito il Tribunale, è comunque scesa da 20 mila a 9.500 euro tanto che la Procura sul punto ha fatto appello:

Il patto corruttivo, dunque, il cui inizio viene collocato nel 2010, sarebbe proseguito per altri cinque anni. Se venisse meno l’episodio di corruzione del 2015 bisognerebbe retrodatare la consumazione del reato ai fini della prescrizione.

Non è un tema di poco conto. Resterebbe, comunque, in piedi la concussione (che di fatto rappresenta il reato per cui è arrivata la pena più alta e su cui si innestano le altre ipotesi in continuazione) ai danni di Alessandro Scimeca, amministratore giudiziario dei supermercati Sgroi e dell’Abbazia Sant’Anastasia. Saguto aveva fatto la spesa accumulando un debito di 13mila euro saldato solo dopo che scoppiò lo scandalo.

Venendo meno alcuni capi di imputazione la pena, in caso di condanna, potrebbe essere più mite. E qui entra in ballo un altro tema delicato. La legge “spazzacorrotti” ha introdotto a partire dal 31 gennaio 2019 il divieto di concedere misure alternative alla detenzione (ad esempio l’affidamento in prova ai servizi sociali) in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione (concussione, corruzione, peculato).

Per i fatti commessi fino al 31 gennaio 2019 e fino a quattro anni di condanna l’imputato può chiedere al tribunale di sorveglianza del luogo di residenza una della misure alternative.


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