Un infarto fulminante ha stroncato la vita di Sandro Musco. Il docente di Storia della filosofia medievale all’università di Palermo, già consulente dell’ex presidente della Regione Rino Nicolosi, aveva 63 anni. Stamattina Musco – collaboratore di LiveSicilia e autore di una rubrica fissa sul mensile “S” – ha accusato forti dolori al petto nella sua abitazione di Casteldaccia. Un’immediata corsa alla guardia medica di Bagheria si è rivelata vana. Musco è giunto senza vita al presidio sanitario. Lascia la moglie e tre figli. Alla famiglia le condoglianze di LiveSicilia e della Novantacento. I funerali si terranno domani alle 11,30 nella chiesa di San Francesco.
PALERMO – Una settimana sì e una no – erano i tempi dell’Ars plurinquisita fine anni ottanta – era d’obbligo fargli squillare il Microtac. La voce calda, l’immancabile tappo di plastica della Bic in bocca, ti sferzava alla risposta: “Mi stai chiamando per sapere se mi hanno arrestato?”. Ora glielo posso confessare: il motivo non era soltanto quello. Sandro Musco se ne è andato in punta di piedi, quasi in silenzio. Un paradosso per un teorico della parola qual era. Fiumi di parole, aggettivi, citazioni, senza mai rinnegare il siciliano, la lingua che voleva s’insegnasse a scuola. Magari insieme all’aramaico. Rideva sino alla scorsa settimana: “Pensa, sono diventato consulente della Procura. Mi hanno chiesto se conosco qualcuno che può tradurre i pizzini di un boss, sono scritti proprio in aramaico. Gli ho trovato la traduttrice in un quarto d’ora. Io, consulente della Procura, ma t’ummaggini…?”.
Sì, perché in Procura Sandro Musco a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta entrava e usciva con una certa frequenza. Una decina di avvisi di garanzia, quattro processi, tre assoluzioni, una condanna a quattro anni e mezzo per una presunta tangente da 50 milioni delle vecchie lire consegnata dentro una borsa Vuitton: “Sulla borsa non smentisco, ma i soldi non c’erano – mi confessò – ho fatto appello anche se il reato è prescritto, macchie non me ne devono restare. Hanno controllato tutto, mi hanno guardato le tonsille dal culo, non hanno trovato nulla. Morirò povero e pazzo”.
E’ morto guardando il golfo d Palermo, dalla sua villetta in cui si era trasferito una ventina d’anni fa, sul mare di Casteldaccia. Lì viveva solo, tra i suoi preziosi testi medievali, la musica classica, i fogli di carta riciclata bene in mostra. Perché ogni volta che attaccava a parlare, quasi fosse posseduto, imbracciava la penna e prendeva appunti, disegnava schizzi, cerchi, parole in libertà. Analizzava, studiava, prevedeva. All’inizio degli anni ’90 preconizzò la fine della Dc. S’illuminava gli occhi ogni volta che ipotizzava la creazione di una forza autonomista siciliana. E la Lega non era ancora nata. Poi capì subito che la discesa in campo di Berlusconi sarebbe stata vincente, “ma a me questo qui non mi piace, a pelle mi pare uno che nni pigghia pu culu a tutti”. Qualche settimana fa l’ultima profezia: “Vincerà di nuovo le elezioni, si voterà entro il 2015 e si candiderà una Berlusconi, vedrai. E tutta l’Italia voterà per lui”. Vedremo.
Con Elio Rossitto, nel frattempo caduto in disgrazia per una storia di sesso e pruderie, aveva maneggiato miliardi e potere. Lui, lo scudocrociato nel Dna, l’altro gradito al Pci. Uomini ombra di Rino Nicolosi a capo di quel governo parallelo che molti hanno rivalutato: “Andavamo in Consiglio dei Ministri e sbattevamo i coglioni sul tavolo. Abbiamo fatto costruire dighe, ferrovie, porti”. La stagione della Regione imprenditrice, dell’Italkali lasciata in mano ai privati e di una lunga amicizia col patron Francesco Morgante, ma anche di mille sprechi, dei milioni per acquistare le orche da far crescere nelle piscine degli alberghi di Sciacca, dei miliardi investiti e spesso vaporizzati in Ems, Espi e Azasi, gli enti economici approdi d’oro per sottogoverno e commissari liquidatori che non hanno mai liquidato ma con parcelle a nove zeri. “Noi almeno facevamo, e chi fa può sbagliare. Adesso a Roma ci si va per parlare dei propri gusti sessuali, siamo diventati gli zimbelli d’Italia”.
Con Nicolosi un rapporto fraterno, arrivato sino al giorno della morte dell’ex presidente della Regione: “Lo arrestarono col tumore in fase terminale, una tortura inutile”. Storture di una giustizia che ha combattuto con la sua arma migliore, l’ironia. “M’interrogarono e mi chiesero conto e ragione delle correnti Dc. Gli risposi che funzionavano esattamente come le correnti dei magistrati per essere eletti al Csm. S’incazzarono. Capii che avevo colpito nel segno”.
Custode di molti segreti, è stato uno dei pochi a leggere il dossier che Nicolosi, poco prima di morire, scrisse per raccontare vent’anni di potere. “Lo consegnò alla Procura di Catania. Non so che fine ha fatto. So soltanto che l’unica copia ce l’ha in mano un avvocato”.
Negli ultimi anni aveva deciso di osservare la politica da lontano, dalla Basilica di San Francesco d’Assisi in cui ha sede la sua Officina di Studi Medievali, ridimensionata dalle nuove “Tabelle H” firmate Crocetta: “Ma parliamoci chiaro, a me di questi finanziamenti non me ne fotte una mazza – ha recentemente detto – La verità è che questa tabella H non è altro che una buttana sovraesposta dietro alla quale infinite escort prosperano con gli affari loro”.
Molto critico con i “nani che adesso affollano l’Ars”, a gennaio aveva lanciato un appello agli intellettuali per commissariare la Regione Sicilia: “Il governo Crocetta – scriveva il 24 scorso su Livesicilia – ha superato ogni immaginazione portandoci a quella che noi siciliani, a conclusione dei sacri giochi pirotecnici (u’ focu) che chiudono ogni festa che si rispetti, amiamo chiamare masculiata finale”. Peccato che i botti, il buon Sandro, non abbia fatto in tempo a vederli.