PALERMO – Un “testimone credibile”. Un uomo del Vangelo, “martire della fede”. Padre Pino Puglisi, di cui oggi si ricorda il ventitreesimo anniversario della morte, viene ricordato in un libro pubblicato da Rubbettino da Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro, postulatore della causa di canonizzazione del sacerdote siciliano ucciso da Cosa nostra. “L’enigma della zizzania” è il titolo del volume che offre un ritratto diverso da quello della narrazione antimafia canonica. Un ritratto che parte da ciò che padre Pino Puglisi era e si sentiva: un sacerdote, un uomo di Dio. “Non un prete contro, ma semplicemente un prete”, si legge nel libro. “Il martirio del parroco di Brancaccio – dice a Livesicilia monsignor Bertolone – è per tutti un memento ineludibile. Come ha scritto nella sua bella prefazione Santi Consolo, Presidente del Dipartimento Amministrazione penitenziaria (Dap), il libro nasce da alcune domande, che egli formula così: “Come comportarsi di fronte a stili, atteggiamenti, silenzi, connivenze, violenze, che gridano vendetta al cospetto di Dio? C’è ancora qualche chance per una Chiesa che voglia essere libera, povera, serva che ama il mondo, ma si distingue dal mondo nel senso descritto dal quarto evangelo, cioè di tenebra rispetto alla vera luce?” Da parte mia, non ho voluto attutire responsabilità e silenzi, ma registrare una svolta nel modo di essere e di fare della Chiesa di fronte all’enigma della zizzania che avvolge e travolge società e chiesa, a partire da quel grido della Valle dei templi, pronunciato dal santo papa Giovanni Paolo II”.
Nel suo libro, il vescovo si sofferma su quello che chiama “metodo Puglisi”. E che a Livesicilia spiega così: “Più che predicare un vangelo-contro, Puglisi propone l’annuncio mite del Vangelo della tenerezza. Per questa via, lo stesso martirio di Puglisi diviene una strategia pastorale particolarmente efficace nei campi (ormai troppi e dappertutto) in cui si è insinuata la gramigna delle mafie – dice Bertolone -. Un vero e proprio antidoto silenzioso che mette in crisi la cattiva semina, nella consapevolezza che le mafie non sono mai state un fatto solamente criminale, che i processi e le pene non sono sufficienti quando non accompagnate da un serio e condiviso impegno sociale”.
Ecco l’enigma della zizzania, quella della parabola evangelica, la gramigna che Dio lascia crescere accanto al grano. E che cresce nella società, come la mafia, ma anche nel cuore di ogni singolo uomo. Al quale guarda un uomo del Vangelo come il Beato don Pino: “Non era azione antimafia – scrive nel suo libro l’arcivescovo di Catanzaro -, ma l’opera di un prete intelligente, che comprendeva il Vangelo nella sua valenza storica e nutriva fiducia nella potenza del buon seme”. Quella fiducia che lo portò al martirio in odium fidei, “da testimone credibile, coerente”, dice Bertolone, osservando come la mafia sia contro il vangelo”, anche se questo alle volte è stato ed è dimenticato. “Forze di polizia e magistratura da sole contro il crimine organizzato non possono farcela – dice Bertolone a Livesicilia -. È fondamentale coinvolgere la società civile. Bisogna cominciare dalle scuole, partendo dalla primaria, con messaggi, lezioni ed informazioni inseriti nei normali programmi, specialmente quando si insegna la storia. Inoltre, in un simile quadro di formazione certamente non potrà, non dovrà mancare l’apporto delle Chiese del sud che dovrebbero, a mio avviso, inserire nei programmi teologici anche un corso specifico della mala pianta”.
Fu o no un eroe il piccolo prete sorridente della parrocchia di Brancaccio? “Nelle sue omelie spesso si rivolgeva ai mafiosi invitandoli a incontrarsi, a parlare, a spiegare i motivi che li spingevano a ostacolare chi educava i bambini allo studio, ai valori della legalità e del rispetto reciproco – risponde Bertolone -. Aveva ben chiaro il bisogno di ripristinare il volto umano della comunità per giungere a una dimensione diffusa della condivisione dei valori evangelici e non disperava di ricondurre sulla giusta via chi fosse già irretito dalla mafia. Un po’ alla volta fece capire ai più piccoli che per ottenere il rispetto nella vita non bisogna essere dei criminali, “gente di rispetto”: basta soltanto avere in mente e nel cuore idee buone e pulite. Mettendo alla porta certi maneggioni che organizzavano le feste, fece comprendere che era indecente il mercimonio, primo perché la casa di Dio non ha bisogno di luminarie, canzonette e inchini; secondo, che era immorale sperperare tanto denaro in un quartiere così povero. Insomma, ha dimostrato quanto sia necessario e per molti versi utile sperare contro ogni speranza, per debellare il male del senso dell’impotenza: come scriveva Corrado Alvaro, «la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile». Quello di Puglisi è un invito a non arrendersi di fronte alla zizzania: nulla è davvero impossibile, se lo si vuole”, conclude il vescovo.