PALERMO – Colpo di scena. La quinta sezione penale ha disposto il nuovo esame di tre testimoni. Slitta, dunque, la sentenza al processo che vede imputato, fra gli altri, l’ex parlamentare regionale Franco Mineo. La Corte – in camera di consiglio da mezzogiorno di oggi per pronunciare la sentenza – ha disposto la sospensione del procedimento e l’audizione di Domenico, Filippo e Alessandro Franzone per mercoledi 22 maggio. Si tratta di alcuni commercialisti toscani con studio anche a Palermo, il cui cognome saltava fuori nelle conversazioni intercettate dagli investigatori.
Intestazione fittizia di beni aggravata, malversazione e peculato. In Tribunale Franco Mineo si sta difendendo da queste accuse. Per lui è stata chiesta una condanna a otto anni e otto mesi. Il processo è iniziato nel luglio del 2011, quando il giudice per le indagini preliminari Marina Petruzzella decise di rinviare a giudizio l’ex politico di Grande Sud su richiesta dei pubblici ministeri Piero Padova e Dario Scaletta. Assieme a lui sul banco degli imputati c’è Angelo Galatolo, rampollo della famiglia mafiosa dell’Acquasanta. I pm hanno chiesto per lui una condanna a 16 anni per mafia. L’indagine prese le mosse nel 2010 da una perquisizione nello studio Franzone.
Gli investigatori della Direzione investigativa antimafia, come riscostruito dal mensile “S”, trovarono un appunto. Una sorta di promemoria per un passaggio di proprietà di alcuni immobili, dissero gli investigatori. Accanto al nome dell’acquirente c’era scritto: “Compra Angelo G.” Dalle visure catastali emerse che i locali erano in realtà di proprietà di Mineo. Da qui l’ipotesi che il parlamentare avesse comprato gli immobili per conto di Galatolo di cui sarebbe un prestanome e a cui sarebbero finiti i soldi degli affitti. Ipotesi smentita da Mineo (“mai dato un euro a questo signore”, disse riferendosi a Galatolo nel corso di un interrogatorio. In udienza aggiunse: “Quegli immobili erano miei, non sapevo nemmeno dell’intenzione di Galatolo di acquistarli”.
Nelle scorse udienze i pm hanno contestato a Mineo anche un’ulteriore fattispecie di intestazione fittizia. Secondo la Procura, infatti, non solo Mineo sarebbe il proprietario sulla carta di alcuni immobili in realtà riconducibili a Galatolo, ma avrebbe anche messo a frutto questa proprietà riscuotendo gli affitti e versandoli allo stesso Galatolo. Gli inquirenti, dopo le dichiarazioni “convergenti”, dei collaboratori di giustizia ascoltati in dibattimento e in particolare di Angelo Fontana, hanno ritenuto che l’imputato, mentre i componenti della sua famiglia erano in carcere, si occupava di tenere la cassa del mandamento e di incassare i proventi delle estorsioni.
L’ipotesi di associazione mafiosa per Galatolo è rimasta in piedi, secondo i magistrati, anche se il pentito Fontana, come è emerso in dibattimento, si sarebbe inventato di avere preso parte al fallito attentato all’Addaura a Giovanni Falcone per rendere più credibile la sua collaborazione con la giustizia. Incastrato dagli esiti di indagini difensive, dell’avvocato Pino Di Peri, che hanno accertato che in quel periodo era detenuto negli Usa, il collaboratore ha dovuto ammettere davanti ai magistrati di Caltanissetta di avere detto il falso.
Sotto processo c’è pure Settimo Trapani che di Mineo è stato a lungo braccio destro. Trapani, era il responsabile dell’associazione Caput Mundi, attraverso la quale Mineo avrebbe fatto transitare migliaia di euro che, invece di sostenere le famiglie e gli anziani della borgata dell’Arenella, sarebbero serviti per pagare le campagne elettorali dell’onorevole. Da qui l’accusa di malversazione di cui i due rispondono in concorso. Trapani si è sempre difeso e alla fine ha puntato il dito contro le “manovre di Mineo” di cui sarebbe stato vittima. L’accusa di peculato, invece, è legata all’uso privato del telefonino del Comune di Palermo, all’epoca in cui Mineo era assessore.