CATANIA – Una crescita abnorme, secondo i giudici, avvenuta tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta, tanto da valergli l’appellativo di “re dei supermercati”. Lo stesso periodo in cui iniziarono, stando ai collaboratori di giustizia, i rapporti tra il clan dei Laudani e l’imprenditore puntuse Sebastiano Scuto, condannato in appello a 12 anni per associazione mafiosa. Un’espansione che, per la difesa, fu invece costante e graduale se analizzata tutta la rete societaria del gruppo, senza soffermarsi sulla sola Aligrup S.p.a, società nata nel 1987 e divenuta negli anni un vero e proprio colosso a sei zeri della grande distribuzione in Sicilia.
“I dati – scrivono i giudici nella sentenza – documentano un incremento effettivamente elevatissimo proprio in coincidenza con gli anni in cui, secondo le dichiarazioni dei collaboranti, da ritenere attendibili e riscontrate, si è verificata la collusione Scuto/Laudani”. Numeri e percentuali che secondo la Corte d’Appello di Catania parlano chiaramente. Nel triennio 1990/1993 la crescita tocca il 60%, dal 1993 al 1996 si passa al 41% e in quello successivo al 25%. Tassi di crescita e percentuali al rialzo che secondo il pg Gaetano Siscaro erano foraggiati dai contanti di Cosa nostra.
I giudici nella lunga sentenza, depositata lo scorso mese e su cui i legali di Scuto stanno preparando ricorso per Cassazione, fanno anche una sorta di precisazione: sviluppo imprenditoriale non sempre in Sicilia deve coincidere con la parola mafia. In questo caso però l’analisi dei dati sul fatturato del gruppo assumerebbe un significato diverso in quanto deve essere affiancato alle “altre risultanze processuali ed in particolare con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia”.
Tra le numerose contabilità finite sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori negli anni, e su cui si soffermano i giudici nella sentenza, c’è anche una disponibilità bancaria all’istituto Cesare Ponti di Milano. Un conto corrente attivato, secondo la versione di Scuto, per sostenere le spese universitarie del figlio all’ombra della madoninna. Dove però il giovane “non risulta si sia effettivamente recato a studiare”. Un’operazione che, si legge nella sentenza “presenta diverse anomalie”. Tra queste nel lungo elenco il fatto che erano stati effettuati soltanto versamenti e mai prelievi, per un saldo finale nel 2000 di oltre 175 mila euro. Soldi contanti o assegni versati dall’imprenditore puntese “che si recava personalmente a Milano”.
Dodici operazioni complessive, tutte sotto la soglia dei venti milioni, tetto per cui “è previsto per legge il controllo antiriciclaggio”. Un elemento, quello del conto, che dimostrerebbe, proseguono i giudici nella sentenza, “l’esistenza di uno strumento potenzialmente (ma anche effettivamente) idoneo a realizzare le finalità illecite oggetto del procedimento”.
Le società in Lussemburgo. Nell’impero Scuto, c’erano anche due società di diritto lussemburghese costituite nel 1998 all’interno del granducato del centro Europa. La Aligrup International Sarl, poi trasformata in società anonima, la sua controllata Finaligrup Sarl con funzioni di controllo a sua volta sulla Aligrup Spa di Catania. Il complesso sistema, che in un secondo momento avrebbe dovuto coinvolgere anche un trust irlandese, sarebbe stato concepito, secondo l’accusa, attraverso delle scatole cinesi create ad hoc. “Le risultanze processuali – scrivono i giudici nella sentenza d’appello – evidenziano che la principale finalità dell’operazione Lussemburghese è individuabile, come chiaramente indicato dai periti, nel rendere più agevole un successivo trasferimento della partecipazione di controllo in Aligrup Spa”. Un passaggio “considerato in ipotesi anonimo, fiscalmente agevolato e non rilevabile a motivo del doppio livello delle società interposte”.
Operazioni su cui si soffermarono durante l’arringa difensiva anche i legali di Scuto, “Vi erano – spiegò l’avvocato Giovanni Grasso – delle ragioni effettive che erano di risparmio fiscale in caso di vendita, oltre che ragioni di carattere successorio, operazioni – concluse – assolutamente trasparenti”.
La replica dei legali. Sul fronte difensivo è già in fase di elaborazione il ricorso per Cassazione. Di sentenza con “vizi logici” parla a LiveSiciliaCatania, l’avvocato Guido Ziccone, difensore di Scuto insieme a Giovanni Grasso, “Sono presenti – spiega Ziccone –per quanto riguarda sia l’attendibilità dei collaboratori di giustizia che sul significato attribuito alle perizie economico-finanziarie dell’impresa. Faremo rilevare questo tramite apposito ricorso per Cassazione. Tali vizi logici – prosegue il legale – correttamente risolti, riteniamo, debbano dar luogo all’inesistenza delle prove di colpevolezza”.