PALERMO – “Il fatto di farsi esplodere era una malattia loro, un sogno… parlavano di martirio… avevano bisogno di morire”. Il racconto non arriva da una terra lontana, ma da un carcere palermitano. Quel qualcuno pronto a morire per la Jihad, la ‘guerra santa’ contro gli infedeli, viveva a casa nostra, in Italia.
A raccontarlo è Giuseppe Frittitta, palermitano di 25 anni, il primo “radicalizzato” italiano a collaborare con la giustizia. Nei verbali ricostruisce la sua storia che inizia con la conversione all’Islam e sfocia nell’istigazione al terrorismo.
C’è un dato inquietante: Frittitta e l’altro indagato, Ossama Gafhir, marocchino di 18 anni, erano in contatto con fondamentalisti islamici che vivono in Italia e all’estero. È una circostanza che emerge dall’album fotografico che il pubblico ministero della Dda di Palermo Calogero Ferrara ha mostrato a Frittitta nel corso degli interrogatori. Un album con una trentina di scatti.
La radicalizzazione di Frittitta comincia su Facebook. Nella piazza virtuale gira di tutto. Vi si affacciano i buoni, ma anche i cattivi: “Ammetto di avere visto video inneggianti a Daesh perché mi piacevano le loro idee e li ammiravo come combattenti. Io pensavo che combattessero per difendere i bambini che erano vittime di bombardamenti in Siria e mi suscitavano rabbia e avevo deciso di partire per la Siria”.
Isil e Isis sono acronimi di “Islamic State in Iraq and the Levant”, e la traduzione inglese di “Al Dawla Al Islamiya fi al Iraq wa al Sham”, il cui acronimo è “Daesh”. Altro non è che il nome che il gruppo terroristico si è dato alcuni anni fa.
“La conoscenza di Ghafir nasceva su Facebook o su Whatsapp per il tramite di omissis – mette a verbale il palermitano -. È stato quest’ultimo a indottrinarci. Mi sono avvicinato all’Islam dapprima per la parte religiosa poi per quella politica. Ho cominciato a leggere il Corano e mi sono ritrovato in alcuni concetti ideologici dell’Islam. Il primo gruppo a cui ho aderito si chiama ‘Siamo fieri di essere musulmani’… nel momento in cui ho conosciuto omissis è stato questi che mi ha avvicinato all’Isis dandomi un’interpretazione di alcune regole dell’Islam. Ghafir mi diceva che i veri mujahidin erano quelli di Daesh perché loro erano l’unica setta salvata che avrebbe avuto accesso al paradiso. Mi diceva che dovevamo recarci a combattere”.
Dopo poco tempo Frittitta diventa una pedina di una rete di contatti che cresce di numero quando si trasferisce nel Nord Italia, a Monza. Racconta di persone che vivono a Novara e Milano, ma anche in Svizzera, negli Stati Uniti e in Germania. Parla di “un sapiente molto conosciuto negli Usa che è stato arrestato perché vicino all’Isis e omissis lo seguiva particolarmente… era un seguace di Anwar Al Aulaki che era un esponente di Al Quaeda”.
Alla causa jihadista avrebbe aderito anche un marocchino che “sua moglie è italiana ed è un soggetto molto facile da manipolare. Un altro marocchino “mi ha messo in contatto su Internet con omissis della moschea di Zurigo che era stato anche arrestato”. Ed ancora: “Ghafiir aveva un contatto con un signore che gli ha inviato pure dei soldi… forse è morto in qualche bombardamento. Ultimamente aveva trovato una signora che era sempre di questa ideologia e che lei stava in Turchia era emigrata là clandestinamente..”. Nel verbale spunta anche “il kosovaro”che avrebbe parlato con i fratelli in Germania…”.
Inquietante la confidenza che Frittita dice di avere ricevuto da Ghafir: “… c’era un tizio con la barba che faceva delle videoconferenze… sentiva le bombe che cadevano su di lui e si emozionava Osssama si eccitava…”.
I verbali sono pieni di omissis. La Procura, che ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti di Frittitta e Ghafir, sta cercando di ricostruire, d’intesa con la Digos, la rete dei jihadisti. Decisiva la collaborazione del primo radicalizzato italiano che collabora con i magistrati.