Sicilia, la parabola discendente dei beni culturali - Live Sicilia

Sicilia, la parabola discendente dei beni culturali

di Manlio Mele e Michele Buffa - Passo dopo passo, ecco cosa è accaduto nell'isola in un settore strategico
L'ANALISI
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9 min di lettura

Nel 1977 il legislatore regionale, in una delle sue stagioni più fertili, evolute e vivaci, legifera sulla materia dei Beni Culturali in attuazione dello Statuto siciliano di autonomia. La Legge regionale 80/77 definisce ruoli, funzioni e obiettivi del neonato Assessorato dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione. Finalità della Legge sono la tutela, la valorizzazione e l’uso sociale dei Beni Culturali ed Ambientali nel territorio della Regione Siciliana. La Regione, con quella Legge, definisce i beni culturali e ambientali in maniera innovativa, integrata e interdisciplinare. Sono infatti contestualmente istituite le Soprintendenze uniche, articolate in Sezioni tecnico-scientifiche corrispondenti alle categorie di beni definite dalla Legge, da quelli naturalistici, a quelli paesistici architettonici e urbanistici, da quelli archeologici a quelli storico-artistici, bibliografici e urbanistici. A ciascuna delle sezioni, coordinate da un Soprintendente unico, è preposto un responsabile della qualifica professionale o scientifica corrispondente, appartenente al ruolo tecnico del Beni Culturali.
Questo assetto resta in vigore fino al 2000, quando la sciagurata legge regionale 10 cancella il ruolo tecnico dei beni culturali, determinando l’accesso alle tradizionali strutture tecnico-scientifiche di personale privo di adeguata esperienza nel settore, ma anche di adeguata competenza disciplinare, nella vana e grottesca speranza che la generica figura del “dirigente unico” avrebbe trasformato in manager funzionari e dirigenti ai quali non è stata mai garantita neanche un’adeguata formazione dal punto di vista gestionale. Anche negli anni successivi sono state vita via accorpate funzioni e competenze e sono stati eliminati del tutto settori essenziali per il nostro patrimonio culturale e paesaggistico, straordinariamente ricco e complesso, facendo venire a mancare figure essenziali, nei quadri dalla dirigenza, dei tecnici, dei funzionari amministrativi.
Nel 2010 il governo regionale presieduto dall’autonomista Raffaele Lombardo rinomina l’Assessorato dei Beni Culturali “Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana” per ragioni che diremmo ideologiche, o di calcolo politico, eliminando l’ambiente dalla denominazione e perdendo per strada anche le competenze sulla pubblica istruzione e sull’educazione permanente. È superfluo in questi giorni oscuri sottolineare quanto il tema dell’”identità” possa essere, se male interpretato, o cinicamente utilizzato, foriero di autentiche catastrofi.
Anche sul versante delle normative introdotte negli ultimi anni nei settori dei beni culturali e della pianificazione paesaggistica e urbanistica, sembra proprio che obiettivo del legislatore regionale fosse quello di depotenziare e marginalizzare il settore dei beni culturali.
In questa direzione sembrano andare la L:R: 19/2020, modificata a seguito delle censure per incostituzionalità, come pure il disegno di legge 698, tuttora depositato all’ARS, che riunisce in un unico testo normativo alcune leggi o disposizioni, vigenti o in itinere, afferenti alla materia dei beni culturali.
La pretesa del Legislatore regionale di riscrivere il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, come se la Sicilia non fosse soltanto un regione autonoma ma un pianeta inesplorato, mirata fra l’altro a riscrivere anche i piani paesaggistici vigenti da anni in Sicilia, oltre a essere ingiustificata e antistorica, è stata semplicemente dichiarata incostituzionale. I piani, così come le misure di tutela del paesaggio sono infatti sovraordinati ad ogni altro atto pianificatorio urbanistico e urbanistico-territoriale per effetto dell’art. 9 della Costituzione.
I piani consentono di programmare azioni e interventi che riducano al minimo le incertezze e le lungaggini procedurali, uniformando i principi della tutela sul territorio e riducendo la tanto spesso lamentata “discrezionalità” dei pareri caso per caso, privi di una logica unificante dichiarata e manifesta. È perfino superfluo ribadire quanto sia cruciale poter programmare azioni e interventi sulla base di criteri certi anche in vista dei Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Anche con il disegno di legge n.698 “Disposizioni in materia di beni culturali e tutela del paesaggio” vorrebbe rimettere insieme un ipotetico Codice dei Beni Culturali siciliano scardinando le disposizioni di legge relative alla pianificazione dl paesaggio. Le modifiche più vistose riguardano infatti ancora una volta il Titolo III del Codice, ossia le norme in materia di tutela dei beni paesaggistici, attribuendo le competenze in materia di elaborazione dei piani paesaggistici e di rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche al Dipartimento regionale dell’Urbanistica, senza nemmeno richiedere l’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alla pianificazione regionale. Sembrerebbe in questo perseguire le stesse finalità della L.R. 19: eliminare le competenze dei Beni Culturali nelle procedure di tutela paesaggistica.

In ultimo, la Delibera della Giunta di governo approvata lo scorso 10 marzo – con crudele ironia nel terzo anniversario della morte di SebastianoTusa, quando si celebrava la Giornata dei Beni Culturali siciliani – accorpa ulteriormente le sezioni specialistiche delle Soprintendenze e dei Centri regionali, gli uffici cioè che si occupano di tutela, restauro e catalogazione dei beni antropologici, archeologici, architettonico- urbanistici, storico-artistici, paesaggistici, ambientali e bibliografici, di quelle strutture cioè che, nonostante tutto, anche negli ultimi vent’anni, per dirla col le parole di Renzo Piano, sono state in Italia l’unico vero baluardo nei confronti dello scriteriato saccheggio del territorio e del paesaggio, obiettivo sempre attuale e trasversale. E proprio su queste strutture pesa la generale riduzione quantitativa (e, conseguentemente, anche qualitativa) del personale impiegato, con tagli orizzontali che sembrano motivati solo dalla volontà di far corrispondere il numero delle postazioni dirigenziali al numero decrescente dei dirigenti in servizio. Si tratta dell’ennesimo passo indietro se non dello smantellamento degli uffici: per quello è sufficiente il mancato avvicendamento, e il mancato investimento su nuove competenze e su giovani spesso formati in modo solido e specifico. La Giunta oggi depotenzia in modo forse definitivo le Soprintendenze e l’attività di tutela del patrimonio culturale, con il pretesto della riorganizzazione e della razionalizzazione della macchina regionale. Ma la recentissima modifica dell’art. 9 della Costituzione Italiana ha introdotto un importante elemento di innovazione, subendo, per la prima volta nella sua storia, una modifica nei suoi principi fondamentali con l’inserimento della tutela dell’ambiente: L’articolo divenne infatti: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.” La nozione di bene paesaggistico assume carattere di “primazia” in quanto valore di rango costituzionale, e dunque oggi questa speciale tutela va estesa ai beni ambientali, già tutelati dalla Legge Galasso del 1985 fra le categoria paesaggistiche oggetto di tutela. Sarebbe dunque auspicabile un riaccorpamento di competenze settoriali sul territorio, con un forte potenziamento soprattutto in tema di pianificazione, riunendo definitivamente il concetto di paesaggio e ambiente e riservando alla disciplina urbanistica la progettazione dello spazio urbano, la pianificazione organica delle modificazioni del territorio, compresi anche tutti gli aspetti gestionali, programmatori e normativi dell’assetto territoriale e in particolare delle infrastrutture e dell’attività edificatoria. La novità introdotta dalla modifica alla Costituzione, con la modifica dell’art. 9, ci dice infatti che il termine di “paesaggio” comprende e integra quello di ”ambiente” già a partire dalla Legge Galasso, e che non può e non deve esistere un “bel paesaggio” che non sia anche “sano” dal punto di vista ambientale, che non sia anche stabile dal punto di vista ecologico e ricco in biodiversità, che non sia testimonianza della storia e del lavoro umano che nei secoli lo hanno disegnato e mantenuto anche nel suo equilibrio dinamico, e tutelato, ma non “musealizzato”, come tante volte si sente affermare in modo sprezzante. Allo stesso modo, non vanno attuate misure, interventi o attività che riguardino la tutela ambientale, o genericamente l’ambiente “anche nell’interesse delle future generazioni” in conflitto con le ragioni di quella cultura, che non ne rispettino le radici, e nel farlo non promuovano il rispetto anche di quelle degli “altri”. Anche di questo le future generazioni hanno bisogno: che si eviti con ogni mezzo che, oltre al tradizionale conflitto fra sviluppo e tutela del patrimonio culturale, si accendano altri conflitti, oggi potenzialmente devastanti, come quello fra “tutela” e “sviluppo”, o peggio fra “paesaggio” e “ambiente”. In questi giorni, i più bui degli ultimi decenni, nei quali centri storici patrimonio dell’umanità, paesaggi del centro dell’Europa, ma anche centrali nucleari sono oggetto di cannonate e lanci di missili, è doveroso riprendere i principi della Convenzione del Consiglio d’Europa adottata nella città portoghese di Faro nel 2005 e ratificata, fra gli altri Paesi, anche dall’Italia, sul valore del patrimonio culturale per la società. La Convenzione, intende promuovere una comprensione più ampia del patrimonio culturale e del suo rapporto con le comunità, incoraggiando a riconoscere l’importanza degli oggetti e dei luoghi in ragione dei significati e degli usi loro attribuiti sul piano culturale e valoriale. La partecipazione dei cittadini rappresenta un elemento imprescindibile per accrescere in Europa la consapevolezza del valore del patrimonio culturale e del suo contributo al benessere e alla qualità della vita. La guerra in Ucraina rischia di “sospendere” questi progressi, riportando pericolosamente indietro le lancette della storia. Ma anche in questi momenti drammatici abbiamo tutti l’obbligo di confrontarci con le grandi opportunità che la programmazione dei fondi europei offre alla Sicilia, e che comportano grandi responsabilità impongono scelte coraggiose a livello regionale, di merito e di metodo. La prossima attuazione del PNRR in Sicilia, con gli importanti finanziamenti che stanno per essere riversati anche sul sistema dei beni culturali e del paesaggio, per molti aspetti già in affanno in alcuni dei suoi snodi essenziali, soprattutto sul versante della tutela del patrimonio culturale e paesaggistico, mette sul tappeto la necessità di intervenire sulle ombre che ancora si rilevano, pur in presenza di molte luci e delle molte positive evoluzioni ed innovazioni degli ultimi anni. Sarebbe ingiusto non riconoscere l’impatto positivo sul sistema della fruizione del patrimonio culturale della Sicilia – o meglio, del suo uso sociale – di tante innovazioni intervenute in questi anni: dalla istituzione dei parchi archeologici, con nuova centralità e visibilità del sistema e con una gestione più efficiente ed autonoma rispetto al passato; alla adozione dei piani paesaggistici, di cui si sono accennati i vantaggi anche per la programmazione di importanti interventi infrastrutturali nel paesaggio siciliano; al nuovo ruolo che i musei hanno assunto, con forme di relazione e integrazione nel territorio che ne fanno nuovi motori di promozione culturale e sociale, anche al di là delle loro diverse specificità tematiche; ai molti e importanti restauri realizzati su monumenti e architetture di grande pregio. È necessario che al più presto si inverta la tendenza che vede i beni culturali al margine della iniziativa politica della Regione, che sia ripristinato il ruolo tecnico dei Beni Culturali e che vi sia immessa una nuova classe di funzionari, che si affianchi alle risorse già presenti fra il personale tecnico che attendono da anni un adeguato riconoscimento di competenze e ruoli. È necessario che si riconosca la funzione fondamentale dei Beni Culturali per la crescita culturale continua e la qualità della vita dei residenti, per l’offerta culturale più adeguata e moderna per i visitatori, per la tutela di uno straordinario patrimonio “anche nell’interesse delle future generazioni.”

Manlio Mele – Responsabile Dipartimento Cultura Partito Democratico
Michele Buffa – Componente Osservatorio regionale Qualità del Paesaggio.


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