Innumerevoli sono gli uragani che ci vengono addosso nell’estate spezzata delle giovanissime vite dissolte. Uno, il più fragoroso, è il lutto dei genitori, dei parenti, di chi era vicino. La sofferenza di un padre e di una madre che perdono una figlia o un figlio non è riproducibile per chi non l’ha provata.
Non ci sono suoni che possano rappresentare quel dolore, né parole ravvisabili. C’è l’olifante silenzioso dell’anima nella sua tonalità di estrema lacerazione. E appartiene a chi ha dovuto dire addio. Noi possiamo offrire un abbraccio sincero, ma impotente. Non serve a nulla, però, con tutto il nostro cuore insufficiente, è disponibile.
C’è pure il cordoglio collettivo che avvertiamo. Nessun distacco può essere sminuito o collocato in una classifica. Tuttavia, è vero che il massimo della pena percepita è dato dalla condanna di una trama interrotta nella sua pienezza.
Le esperienze sono atrocemente diverse, non accostabili. La morte di Simona – con tutti i suoi ineludibili interrogativi che hanno bisogno di chiarezza assoluta e di rispetto, come chiedono i poveri familiari -, l’incidente che ha portato via Samuele, la tragedia della piccola Maria, che aveva undici anni, propongono dettagli e singolarità di cose irriducibili. Sono terremoti lontanissimi. Ma comune, in noi, è la sensazione di una apocalisse compiuta.
Il sorriso di Simona Cinà, nelle foto precedenti alla catastrofe, è un compendio di luce costretto, suo malgrado, a sfociare nel rimpianto per una ragazza splendida. Ci sono – lo ripetiamo – risposte che vanno date con urgenza di verità.
Nel frattempo, ancora una volta, stringiamo con forza le lacrime che abbiamo visto e le lacrime nascoste. Avremmo voluto essere accanto a tutte le vittime della tremenda cronaca recente. Essere lì per salvarle. Questo è il pensiero fisso che ci scava dentro.
Se siamo coinvolti, significa che stiamo ragionando con i parametri di un fatto personale, quasi familiare. Che Simona e i suoi compagni di sventura sono già diventati un po’ anche nostri figli, nella dimensione di una perdita.
Allora, forse, per contraccolpo esistenziale, possiamo impararlo a carissimo prezzo, scrutando la voragine dell’assenza: i giovani, i giovanissimi, i bambini non rappresentano in esclusiva il futuro. Sono il tesoro inestimabile del presente. Camminano già con noi. Eppure, c’è una società genericamente adulta che, talvolta, non se ne accorge, perché ha rinunciato al dialogo con la speranza.
Non lasciamoli passare, come se niente fosse. Accogliamo lo stupore, ricreando la nostra stessa capacità di stupirci. Non abbracciamo l’estate soltanto quando tramonta e diventa, inesorabilmente, l’inverno di tutti.
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