PALERMO – Renato Soru prova a sovvertire una regola non scritta. Quella per cui il candidato sardo nel grande partito alle Europee non la spunta. Nella storia del Pd e dei suoi progenitori la regola nell’ultimo ventennio non ha conosciuto eccezione (tranne casi in cui gli eletti siculi hanno lasciato il posto di Bruxelles anzi tempo, come Rosario Crocetta). Stavolta, però, almeno a sentire i rumours tutti interni ai democratici siciliani, la sfida è aperta e l’ex governatore della Sardegna è visto come uno dei favoriti. “Favorito mi sembra un po’ troppo”, commenta lui, in Sicilia per partecipare oggi alla commemorazione della strage di Portella delle Ginestre e per un tour elettorale che toccherà nei prossimi giorni varie città dell’isola.
Presidente Soru, lei cerca un’affermazione storica. Come convincerà i siciliani a votare per un sardo?
“Sto facendo una campagna elettorale in entrambe le isole, nella consapevolezza che anche se i dati della popolazione di Sicilia e Sardegna hanno penalizzato quest’ultima, gli elettori possono decidere al di là del fattore geografico, e scegliere chi meglio può, a loro giudizio, rappresentare le istanze del Sud”.
Insomma, sardo o siciliano non importa, purché sappia dar voce al territorio…
“Certo, il ruolo di un parlamentare europeo è questo. Bisogna tenere aperto un canale di comunicazione e saper rappresentare un territorio più vasto per saper portare a Bruxelles un’idea di Unione europea diversa. Nel nostro caso specifico dobbiamo portare un’idea che riguarda l’area mediterranea. E l’idea è che questa parte d’Europa non rappresenta un problema ma una frontiera di opportunità di cui le istituzioni europee devono interessarsi. Qui si affaccia una parte del mondo – l’Africa, i Paesi arabi – che cresce e rappresenta un futuro. C’è un’economia che si muove e l’Europa, così vicina, è quasi del tutto assente da queste dinamiche: ci stiamo condannando a essere periferia anche per questi Paesi”.
Quali tappe ha previsto nel suo tour siciliano?
“Oggi Portella della Ginestra, poi sarò a Bagheria, Palermo, Catania, Messina e in altri centri”.
È vero che alcuni sindaci siciliani stanno sostenendo la sua candidatura?
“Sì, ci sono stati diversi sindaci che a prescindere dalle appartenenze mi hanno contattato e mi hanno espresso la volontà di dare una mano. Vede, alla fine Sicilia e Sardegna sono molto simili per certi versi. Entrambe condividono un ritardo di sviluppo che va colmato. E questo va fatto puntando su una serie di temi per lo sviluppo: la conoscenza, la difesa dell’ambiente, l’innovazione tecnologica, la digitalizzazione”.
Lei è stato presidente della Regione: non trova che ci sia in corso da tempo un tentativo da parte dello Stato centrale di scaricare sulle Regioni il costo della crisi, complice in questo un tasso diffuso di cattiva gestione da parte delle Regioni stesse?
“In questa stagione di cambiamenti accelerati, insieme alla riforma del Senato il Parlamento sta lavorando a riformare il Titolo V. Ci sono già stati dei passaggi in questi anni e in effetti alcune regioni non hanno dato ottima prova di sé. C’è il pericolo che si reagisca in maniera esagerata. Io credo che la storia dell’autonomia sarda e siciliana, e delle altre regioni autonome, vada salvaguardata. Certo, occorre gestirla bene, cosa che non sempre è accaduto, ma non rinunciarvi”.
Che reazioni sta incontrando tra gli elettori siciliani del Pd dopo le divisioni che hanno attraversato il partito in questi giorni?
“Capisco che c’è stato un confronto anche aspro ma non arrivo a comprendere bene le ragioni e le cause. Spero solo che siano superate al più presto. Il momento delle elezioni per un partito è l’occasione per rinsaldare il senso di appartenenza”.
Come valuta le prime mosse del governo Renzi?
“Mi pare che questa prima fase del governo vada per il verso giusto. Si stanno dando risposte attese da decenni. E si stanno facendo cose di sinistra, tassando un po’ più la rendita, alleggerendo il carico sulle imprese e restituendo 80 euro ai lavoratori. Una cifra su cui non bisogna banalizzare”.