Sotto processo per truffa| Prescrizione per tre autisti Amia - Live Sicilia

Sotto processo per truffa| Prescrizione per tre autisti Amia

Giuseppe Lipari, Michelle Chiarello e Mario La Vardera erano finiti ai domiciliari perché accusati di avere trasportato rifiuti speciali a Bellolampo per conto di alcuni imprenditori edili. Sono stati riassunti dall'azienda.

Erano stati arrestati e licenziati
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PALERMO – I reati sono vecchi di nove anni e scatta la prescrizione per tre autisti dell’Amia. Erano finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di avere violato il decreto Ronchi in materia di reati ambientali, ma anche per truffa ed appropriazione indebita. Un’inchiesta che fece perdere – momentaneamente, visto che furono poi riassunti – il posto di lavoro a Giuseppe Lipari, Michelle Chiarello e Mario La Vardera. Adesso la prescrizione manda in soffitta il processo: “Quando furono licenziati – spiegano gli avvocati Giovanni Morgante e Giovanni Di Trapani – le indagini erano soltanto all’inizio, ma il provvedimento fu attuato dall’ex presidente dell’azienda in seguito ad un presunto patteggiamento dei tre dipendenti dell’Amia che in realtà non era mai avvenuto”.

I fatti risalgono al 2004, quando la Guardia di finanza arrestò i tre autisti nell’ambito dell’operazione “Dirty cleaning”: risultarono far parte di una vera e propria organizzazione dedita allo smaltimento illecito di rifiuti speciali. Coinvolti, oltre i tre dipendenti dell’Amia, anche dieci imprenditori edili. Le indagini fecero venire a galla una quantità sproporzionata di rifiuti speciali che sarebbero finiti, all’epoca, nella discarica di Bellolampo, proprio con la complicità del gruppo di autisti, risultati in combutta con alcuni imprenditori.

Tra questi, Antonino Vernengo, e Francesco Francofonti, entrambi gestori della “Palermo Recuperi, una ditta che si occupava del riciclaggio di rifiuti. Gli investigatori seguirono a lungo i camion dell’azienda, che ufficialmente avrebbero dovuto trasportare rifiuti urbani: in realtà i mezzi pesanti sarebbero stati carichi di materiali di risulta provenienti da cantieri edili. Insomma, quel genere di rifiuti non doveva finire nella discarica di Bellolampo, ma il sistema permetteva agli imprenditori di non sostenere gli alti costi connessi allo smaltimento dei rifiuti speciali nei centri autorizzati.

I tre, nel gennaio del 2005 si incatenarono davanti ai cancelli dell’azienda di via Nenni: chiesero il reintegro in servizio perché licenziati mentre erano sotto inchiesta. “Eravamo ancora nella fase delle indagini preliminari – sottolinea Di Trapani – e la Procura non aveva nemmeno emesso richiesta di rinvio a giudizio. Una situazione che mi apparse subito poco chiara, sia come avvocato che come ex consigliere comunale”.


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