Storie? Forse dovremmo chiamarle leggende e dire che sono frutto della fantasia malata dei prigionieri. E’ un escamotage per evitare eventuali querele. Leggende. E se voi le considerete storie, sarà solo colpa vostra.
Ecco le leggende dietro le sbarre. Si narra di un luogo spaventoso all‘Ucciardone, chiamato “canile“.
La cosa è nel nome, il nome descrive la cosa. Dovrebbe essere – stando al “si narra” – il posto d’ingresso prima di arrivare in sezione. Canile, la dogana, il transito in cui si perde il titolo di essere umano per soffrire la retrocessione al rango di bestia. Altre leggende.
Diceva un detenuto: “Appena entri, come benvenuto, le guardie ti inchiummano. Guardi, ho ancora il labbro spaccato”. Inchiummare, cioè picchiare, come si picchiano i cani, tanto per far capire subito chi sono i padroni. Altra leggenda.
Le violenze sessuali nel carcere di piazza Lanza a Catania. Altra leggenda. I detenuti che impazziscono a Favignana, sotto il livello del mare, con una luce cieca come unica compagna nel buio. Altra leggenda. Il sovraffollamento. No, quella è una storia vera. Certificata.
Livesicilia ha già scritto di carcere in giorni lontani. Acqua sulle pietre come è normale. Notiamo che l’argomento è tornato alla ribalta sulla scorta di qualche suicidio che non poteva passare sotto silenzio. Un granello di sabbia, rispetto al deserto di dolore e atrocità.
I nostri concetti sono chiari e sono quelli di sempre. Uno Stato democratico, con le sue leggi, non può fare confusione tra espiazione di una giusta pena e somministrazione della tortura. Non può farlo, anche se l’insicurezza diffusa genera nel popolo un’attitudine forcaiola.
Uno Stato democratico dovrebbe preoccuparsi delle storie che arrivano da dietro le sbarre.
Sempre. Pure quando sono leggende.