Il telecomando che attivò l’ordigno che uccise il magistrato Paolo Borsellino, in via D’Amelio a Palermo, non fu azionato da Monte Pellegrino ma da dietro un muro del giardino di via D’Amelio. E soprattutto c’era un talpa nel palazzo della mamma del giudice, a piano terra, che controllava gli spostamenti di Borsellino che, secondo i pm, avrebbe il volto di Salvatore Vitale, uomo d’onore del clan Roccella condannato a dieci anni al Borsellino bis e all’ergastolo per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Sono questi i punti fermi individuati dal pool del procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, le cui indagini, scaturite anche dalle rivelazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, hanno portato alla scarcerazione di sei condannati e all’individuazione di sette o più nuovi personaggi nella strage di via D’Amelio. Come riportato dall’edizione palermitana di Repubblica, fra questi ci sarebbe anche Vittorio Tutino, che aiutò Spatuzza a rubare la 126. La Corte d’Appello di Catania ha sancito che prima della revisione del processo che ha condannato degli innocenti, ci vorrà la condanna per i veri sicari.
La nuova svolta nelle indagini ha permesso anche di sfatare l’ipotesi di un coinvolgimento di servizi segreti deviati che dal Cerisdi, su Monte Pellegrino, avrebbero attivato il telecomando. Questa fu infatti azionato da Giuseppe Graviano, nei pressi di via D’Amelio, nascosto dietro a un muro. Ma l’ipotesi formulata da Genchi è invece confermata dal pentito Angelo Fontana e, secondo quanto scrivono gli inquirenti, “soggetti esterni a Cosa Nostra potrebbero incidere sui tempi e le modalità di attuazione di una strage già programmata da parte dell’organizzazione mafiosa”.