Sturzo, cento anni dopo |"Profeta anche sull'Europa" - Live Sicilia

Sturzo, cento anni dopo |”Profeta anche sull’Europa”

Intervista a Gaspare Sturzo nel centesimo anniversario dell'appello ai Liberi e Forti.

L'anniversario
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Cento anni fa, il 18 gennaio del 1919, un sacerdote siciliano lanciava il suo appello ai Liberi e Forti che segnava l’ingesso sulla scena politica italiana del primo partito di ispirazione cattolica, il Partito Popolare Italiano. Molte iniziative si svolgono in questi giorni per commemorare quella data storica e la figura di don Luigi Sturzo, uno dei giganti del pensiero politico italiano ed europeo, profeta spesso inascoltato anche da quanti almeno idealmente si mossero nel suo solco.

Gaspare Sturzo

Il popolarismo sturziano, cento anni dopo, resiste molto bene al tempo, ha ancora una sua forte vitalità a livello europeo e si rivela incredibilmente attuale nelle sue intuizioni più profetiche. A partire dalla lotta allo statalismo, a cui il prete di Caltagirone, padre del cattolicesimo liberale e democratico, dedicò molti dei suoi scritti nel dopoguerra, reduce dall’esperienza dell’esilio da antifascista. Ma non solo. Gaspare Sturzo, pronipote di don Luigi e presidente del Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo, ricorda l’impressionante attualità delle sue idee su Europa e immigrazione, tanto per fare due esempi.

Le idee di don Luigi Sturzo conservano una grande attualità e hanno resistito al tempo forse persino meglio delle altri principali correnti di pensiero politiche novecentesche. Non è forse perché paradossalmente il pensiero politico sturziano era uno dei meno confessionali?

“Quella di don Sturzo è un’idea che è una dottrina politica. Ed è vero che il Partito Popolare del ’19 fu distrutto da attacchi confessionali perché la parte clericale si alleò con il fascismo distruggendo il partito. Però è sopravvissuta quella dottrina politica che don Luigi poté elaborare nei 22 anni d’esilio, tra Parigi, Londra e gli Stati Uniti, confrontandosi con le più grandi democrazie libere e liberali di quel tempo. Al suo ritorno in Italia i suoi scritti e la sua esperienza politica antifascista si erano trasformati in un’opera imponente. Rientrò con un’idea molto più matura di democrazia”.

Un’idea senz’altro influenzata dal liberalismo anglosassone.

“In quegli anni poté confrontare i modelli europei con quelli americani e li calò nella realtà italiana intessuta di statalismo di marca fascista. E lì cominciarono le battaglie contro lo statalismo: questo Stato troppo pesante, gestito con la spartizione clientelare attraverso il furto del denaro pubblico avrebbe distrutto libertà e democrazia. Ma su questo non fu capito dalla classe dirigente democristiana del tempo”.

Oggi le “male bestie” contro cui si scagliava Sturzo – lo statalismo, la partitocrazia e lo sperpero di denaro pubblico – sono ancora molto forti?

“Direi di sì. In parte sono mutate. C’è una spartizione clientelare che non è più nella logica dei partiti, che non esistono, ma di alcune leadership”.

Ma questo essere un profeta inascoltato non rende in fondo la figura di don Sturzo ancora più affascinante?

“Questo sicuramente sì, qualora fosse stato studiato. Io oggi (ieri per chi legge, ndr) ho partecipato al convegno all’Istituto Sturzo, dove è intervenuto anche il Presidente della Repubblica, e De Mita raccontava che gli studi su Sturzo sono quelli fino al ’24 perché non c’era alcuna volontà di approfondire il suo pensiero successivo”.

Questo perché a un certo punto la Democrazia Cristiana si orientò su politiche di tipo socialdemocratico, se non socialiste, piuttosto che liberali?

“C’era tutto un dibattito su socialismo e socialità. Sturzo diceva che un partito di ispirazione sociale non deve essere per forza un partito socialista. Lo accusavano infatti di liberalismo selvaggio”.

Quando invece una certa idea di giustizia sociale ispirata dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa non abbandonò mai il pensiero di Sturzo.

“Sì, c’era una contaminazione tra un’idea di libertà e un’idea di ispirazione cristiana che porta a quello che noi chiamiamo ‘ascensore sociale’. Un’idea di ascesa, di possibilità. Invece uno Stato che dà poco a tutti non dà niente di buono a nessuno”.

L’idea di reddito di cittadinanza si iscrive in quest’ultimo solco?

“Cosa c’è di diverso tra il reddito di cittadinanza e le pensioni sociali del pentapartito, che tanto hanno fatto danno ai cittadini facendoli diventare dei sostenuti?”.

Un valore importante del Ppi del ’19 era la laicità della politica. Un’idea che Sturzo difese contro i clericalismi, già nella scelta del nome del partito, che non doveva avere riferimenti confessionali. È un’idea che è stata molto attaccata nel corso della storia, no?

“Sì, certo. Anche il povero De Gasperi ne subì le conseguenze”.

Beh, De Gasperi ne pagò le conseguenze proprio al tempo dell’operazione Sturzo, quando le gerarchie volevano unire un fronte anticomunista a Roma anche con i postfascisti. De Gasperi disse no e non gli fu perdonato. Fu il grande errore di Sturzo quello?

“Ci sono dei falsi storici in questa storia. Sturzo doveva essere il garante di questa coalizione anticomunista a Roma ma poi tanti protagonisti del tempo raccontano che quando lui stesso si rese conto che quell’operazione non si poteva fare lui si tirò indietro. De Gasperi non voleva quell’operazione perché era aveva preso uno stile clericale troppo forte e che avrebbe provocato l’assorbimento di ex fascisti e monarchici”.

Cioè di quei conservatori che il primo Sturzo definiva “fossili”.

“Infatti, quelli che aveva avversato ai tempi del fascismo”.

Quali sono gli elementi di maggiore attualità del pensiero sturziano?

“Tanti, due sono di impressionante attualità. La sua idea di Europa, a cui occorreva un’unione politica e non solo economica, quell’unità che abbiamo fallito. E l’altra, quando sosteneva che c’era una piccola Europa, quella del Sud che doveva esse garantita e che aveva il compito ineludibile di dialogare con i Paesi del Mediterraneo, altrimenti le immigrazioni ci avrebbero distrutto. E questa era la sua idea negli anni ’50”.

Sturzo alla nascita del Ppi si batteva per la centralità degli enti locali e per l’idea di decentramento. Oggi in Italia, si è passati dalla spinta federalista a quella sovranista. Che ne pensa?

“C’è questo tentativo di costruire una società unica che è in fondo la paura di avere una molteplicità di centri decisionali e questo allontana le decisioni dal popolo. Le province liquidate, i Comuni a cui vengono imposti accordi per cui non possono spendere una lira, le banche locali sterminate. Nei mesi antecedenti alla nascita di questo governo c’è stato un esproprio da parte delle burocrazie europee, lo hanno sostenuto sia Berlusconi sia Renzi. Ora si va verso un sovranismo del quale ancora non si capisce molto. Ma mi pare che in Italia si stia andando verso una rottura del meccanismo di solidarietà verso i territori più deboli”.


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