PALERMO – Un ristorante trasformato in “quartier generale” da colui che viene indicato come il capomafia di Porta Nuova. Quell’Alessandro D’Ambrogio di cui conosce le abitudini anche Sergio Flamia, pentito della mafia di Bagheria. Il boss aveva scelto i locali del “Bucatino” di via Principe di Villafranca come base operativa. Non un luogo appartato, ma in centro città. Un luogo dove D’Ambrogio convocava riunioni per discutere di piccole e grandi questioni. Lo faceva come se nulla avesse da temere, seduto al tavolo del ristorante frequentato da professionisti, imprenditori, avvocati e politici. Forse quella di D’Ambrogio era una scelta precisa dettata dalla volontà di confondersi, di mimetizzarsi, calandosi in un contesto di normalità. Mentre i clienti si godevano in pausa pranzo un buon piatto di pasta della tradizione siciliana, D’Ambrogio convocata boss e picciotti.
“Lei conosce i titolari di questo ristorante Bucatino?”, chiedono i pubblici ministeri a Sergio Flamia. Che risponde: “Io ho conosciuto il genero di Salerno, mi sembra Gino Salerno o Pietro Salerno, e il figlio”. Maurizio De Santis, indicato come il titolare del Bucatino, è sposato con Rita Salerno, figlia di Luigi, detto Gino, condannato con sentenza definitiva per mafia perché affiliato al clan di Palermo Centro. Il “figlio” di cui parla Flamia è Giovanni De Santis. Poi il collaboratore di giustizia aggiunge: “II genero e il figlio. Li ho visti in una occasione che io sono stato convocato a Palermo da Alessandro D’Ambrogio… tramite appuntamento con Totino Lauricella (si tratta Salvatore Lauricella, figlio di Antonino, boss della Kalsa, arrestato nel maggio del 2013 nel corso di un blitz che ha azzerato il clan di Bagheria, ndr) che ci siamo visti a Piazza Politeama. Lui mi ha preso con la moto, ci siamo recati in questo ristorante, dove c’erano tante altre persone. È un ristorante che… appena si entra ci sono dei tavoli, c’è la cucina che si vede con un vetro. diciamo a giorno la cucina… là dentro io mi sono incontrato con Alessandro D’Ambrogio, padre e figlio questi qua… i titolari del Bucatino (di cui, però, il collaboratore di giustizia non ricorda il nome di battesimo, ndr). Uno detto… che lo sento chiamare ‘U Serenella (Antonino Seranella, indicato come braccio destro di D’Ambrogio, ndr)”.
Una “tavolata” con una dozzina di persone, a cui avrebbe partecipato anche un “paesano” di Flamia, “Giuseppe Bruno, imprenditore edile, suo padre, suo zio, vecchi imprenditori di Bagheria, e sono stato convocato con una questione inerente a questo Giuseppe Bruno”. Una faccenda sentimentale che avrebbe portato Bruno a minacciare il titolare di “un locale estivo a Casteldaccia, io mi sono interessato di rintracciare stu Giuseppe Bruno, dicendogli ‘guarda – ci rissi – ma ti sembra giusto che tu hai problemi e gli vai a bruciare la macchina a stu ragazzo? Tenti di bruciare il locale. Se hai qualcosa da chiarirgli chiariscitela con lui…”.
Della questione sarebbe stato investito D’Ambrogio: “Dopo un mese, due mesi di questa discussione, un giorno Totino Lauricella, mi viene a trovare al negozio a Bagheria, dicendomi, dice ‘guarda’, dice, ‘oggi all’una ci vediamo a Palermo davanti al Politeama che dobbiamo andare a mangiare insieme con Alessandro D’Ambrogio’”.
Flamia accetta, anche se è costretto a violare la misura di prevenzione che lo obbliga a non allontanarsi da Bagheria. Non poteva dire di no a D’Ambrogio visto che “sapevo il ruolo che lui in quel momento ricopriva a Palermo. In quel momento, diciamo che, girava tutto intorno a lui, non solo sul quartiere di Palermo Centro, ma un po’ su tutti i quartieri, forse a esclusione di Brancaccio e San Lorenzo. Brancaccio e San Lorenzo lo riconosceva ampiamente però… non aveva tutta questa forte ascendenza su quei quartieri. Ma su Palermo Centro, sulla zona della Noce, su Villabate, su Bagheria tramite il Lauricella aveva una forte ascendenza”.
Ed è al ristorante che a Flamia viene rimproverato di avere preso le difese del titolare del locale di Casteldaccia e non quelle di Giuseppe Bruno: “Guarda che io non ho preso gli interessi di quello, io ho preso gli interessi della cosa giusta”. Flamia avrebbe cercato di far valere le sue ragioni: “Per me la cosa giusta è che tu con il locale non hai niente a che vedere, ci dissi, perché se tu hai qualcosa do dire, ti chiami a omissis, se gli devi rompere le corna gli rompi le coma, ma che senso ha che gli vai a bruciare il locale, che non è solo suo il locale”.
Flamia colloca l’incontro tra luglio e agosto 2012. “Mi sono meravigliato di trovare a questo (si tratterebbe di Giuseppe Bruno ndr) qua in presenza di tutti questi personaggi – mette a verbale il collaboratore – … ho capito che era un ambiente un po’ particolare, perché man mano venivano tutti. era un punto di ritrovo di questo Alessandro che… prima che arrivasse, che Alessandro ha ritardato un dieci minuti ad arrivare, venivano in continuazione persone a cercarlo”. In realtà l’incontro sarebbe avvenuto il 17 settembre 2012. I carabinieri hanno seguito il viaggio di Sergio Flamia, in compagnia di Giuseppe Salvatore Bruno, da Bagheria verso Palermo.