"Saliamo incappucciati e spariamo"| Cosi doveva morire il capomafia - Live Sicilia

“Saliamo incappucciati e spariamo”| Cosi doveva morire il capomafia

Antonino Zarcone e Antonino Messicati Vitale

Per un anziano boss di Villabate la sentenza di condanna fu emessa in un summit al ristorante.

PALERMO – Il boss doveva morire. Per Giovanni D’Agati, anziano capomafia di Villabate, la sentenza di condanna a morte – mai eseguita – fu decisa al ristorante. Pochi mesi fa il pentito bagherese Antonino Zarcone ha svelato i retroscena di un summit organizzato nel 2011.

C’era pure lui seduto al tavolo di una trattoria a Mondello assieme ad Antonino Messicati Vitale (Villabate), Giulio Caporrimo, (reggente del mandamento di San Lorenzo), Nicola Milano, Tommaso Di Giovanni, Alessandro D’Ambrogio e Tonino Seranella (tutti di Porta Nuova). Zarcone ha consentito agli investigatori di andare oltre le apparenze. I partecipanti furono visti arrivare con dei regali e andare via con dei confetti. Si festeggiò un lieto evento che coinvolgeva Caporrimo. In realtà era ben altro il motivo dell’adunata.

“Si parlava per quanto riguarda di eliminare a Giovanni D’Agati – mette a verbale Zarcone – essendo che Giovanni girava che chiedeva aiuto a vari esponenti per potersi reinserire di nuovo a prendere il controllo della famiglia di Villabate e sta cosa diciamo non era ben vista, perché si poteva pensare che Giovanni D’Agati poteva fare qualcosa contro Tonino Messicati Vitale”.

Messicati Vitale, l’uomo della latitanza dorata al caldo dell’Indonesia, l’uomo che entra ed esce dal carcere – oggi è libero – sfruttando dei cavilli, allora aveva scalato la gerarchia del potere a Villabate e non aveva alcuna intenzione di cedere il passo neppure ad un anziano e rispettato boss come D’Agati. D’Agati, dal canto suo, cercava l’appoggio di Caporrimo che in quel momento storico era uno dei più influenti mafiosi della città.

Secondo Zarcone, Messicati Vitale avrebbe detto: “Me la vedo io direttamente anche se dagli arresti domiciliari, ci acchianamu chi giubbottini… incappucciati tipo che era un controllo di notte, dice appena grapi, dici, si ci spara ddà davanzi… aveva paura che succedeva troppo macello o a meno che, dice, dobbiamo aspettare che iddu se ne vuole andare a Roma, picchì cavi interessi cu so frati a Roma, perché veniva accusato pure che tutti i soldi delle estorsioni, tramite il fratello, li avevano investiti su Roma”.

D’Agati, arrestato nel 2009, nel novembre del 2011 si trovava ai domiciliari per motivi di salute. “Giulio (Giulio Caporrimo, ndr) e Alessandro D’Amrbogio – prosegue il collaboratore – si sono messi disponibili… Caporrimo ci fa dice eventualmente se va su Roma, u problema un sussiste, dici, picchì u facemu ammazzare lì stesso a Roma… si rivolge poi ad Alessandro dicendogli che là avevano una persona, che fa parte in Cosa Nostra, sempre del territorio… penso che era di competenza di Giulio Caporrimo”.

Il piano di morte, però, non fu mai eseguito. La disponibilità rimase solo sulla carta. Potrebbe essere accaduto ciò che gli stessi protagonisti del summit auspicavano: “… fu lasciato tutto in sospeso picchì dici riflettiamo cosa conviene meglio fare, vediamo che intenzione avi stu D’Agati o se si ferma oppure continua a fare ancora u scemo o dopodiché si vede u da fare qual è”. Evidentemente D’Agati deve avere fatto un passo indietro. Oppure il fronte palermitano in quella stagione voleva una Cosa nostra di pace e non di guerra.

 


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