PALERMO – “Si è consumato con le sue mani”, diceva la madre. L’altro figlio si chiedeva cosa fosse successo. E la donna rispondeva che la lite era iniziata “per il cane” e poi era degenerata. Neppure lei sapeva darsi una risposta. Altre liti c’erano state in passato, ma aveva dei dubbi che potessero essere arrivati a tanto. E cioè che Calogero Moceo, 20 anni, avesse sparato al padre Benedetto, 48 anni.
Sono le voci dei familiari dei Moceo a condurre i poliziotti guidati dal capo della Mobile, Rodolfo Ruperti, dentro il giallo dello Zen 2. Stamani è prevista l’udienza di convalida del fermo e l’interrogatorio di Moceo, difeso dall’avvocato Francesco Oddo. La sera delle pistolettate i familiari sono stati convocati nei locali della Squadra mobile. E le microspie hanno registrato le loro conversazioni.
Qualcuno avrebbe anche pronunciato la parola “latitante”, riferendosi all’allontanamento di Calogero Moceo che domenica sera è salito su un treno con destinazione Bologna. Lo hanno fermato ieri in aeroporto, a Palermo, dove era appena rientrato.
Poi, i parenti facevano riferimento a precedenti episodi in cui padre e figlio erano arrivati ai ferri corti. Uno dei due aveva visto la morte con gli occhi. Secondo gli investigatori, non si tratterebbe di incomprensioni familiari. Dietro ci sarebbero interessi economici legati al mondo della droga spacciata dentro i padiglioni dello Zen 2.
Non è un caso allora che al giovane viene contestato il reato di tentato omicidio con l’aggravante della premeditazione. Un gesto programmato, dunque, e non d’impeto. Calogero Moceo avrebbe fatto fuoco con un fucile, colpendo il padre al petto, al ginocchio e alla caviglia. Infine, avrebbe fatto sparire l’arma. Solo oggi si saprà se la ricostruzione degli investigatori passerà il vaglio del giudice che deve decidere se convalidare o meno il fermo dell’indagato.

