PALERMO – È stata davvero una donna di mafia. Mafia e potere a Porta Nuova. Il nome di Teresa Marino è ripetuto con la costanza che spetta a un capo nelle mille e 200 pagine della motivazione della sentenza con cui il giudice per l’udienza preliminare Nicola Aiello l’ha condannata a 14 anni di carcere.
Di anni di carcere ne son stati inflitti complessivamente 250 agli imputati ritenuti affiliati ai mandamenti di Porta Nuova e Bagheria. Marino sarebbe andata oltre il suolo ruolo di moglie del boss Tommaso Lo Presti. Perché non si limitava a impartire gli ordini del marito detenuto. Era lei a dettarli in autonomia, tanto che il giudice le ha applicato lo stesso trattamento sanzionatorio riservato a Paolo Calcagno, considerato il reggente delle famiglie mafiose che controllano la zona centrale della città di Palermo.
Le condanne sono il frutto del lavoro dei pubblici ministeri e dei carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo. Marino ci ha messo del suo. Come spesso accade è stato decisivo piazzare la microspia nel posto giusto per registrare le dinamiche di Cosa nostra. Parlando con il genero in casa donna Teresa rivendicava, ad esempio, la scelta di avere affidato ad Alessandro Bronte, altro condannato, la gestione del traffico di droga: “… tu nel piccolo non ci lavori più, ti puoi andare a cercare cose la fuori… tu nel piccolo non ci lavori più… perché io non ti faccio entrare più da nessuna parte, perché… oh! Devo guardare il mio io…”.
Era lei stessa a cucirsi addosso il ruolo di figura di riferimento per l’intero clan, capace di garantire stabilità anche qualora fossero stati scarcerati pezzi grossi della mafia nel rione Ballarò, come Salvatore Mulè:“…tu lo sai che cammini con la mia faccia, perché hai camminato con la mia faccia perché solo per questo puoi camminare e lo sai, che poi una te le deve dire tutte … lui era morto, e ora appena… ora esce…è normale, ora che esce Mulè con questo faranno la coppia vincente, e tu lo sai che senza di me sei perso, la verità… se ti conviene… e io con quelli ci mangio al mese…”.
A Marino veniva garantito uno stipendio mensile nettamente più alto rispetto a quello degli altri familiari di detenuti: “… lui stava gli portando i soldi duemila e cinque… duemila e quattro, mille e quattro mi deve dare… mille tre e ottanta… la prossima settimana ci sono altri duemila e cinque, e ancora non abbiamo finito ancora c’è il materiale..”.
Si dava un gran da fare per mantenere la stabilità costruita dal marito. Tommaso Lo Presti poco prima di essere arrestato aveva lasciato l’organizzazione mafiosa che presiedeva in una condizione di perfetto equilibrio e aveva raccomandato di satre nei ranghi: “… la pulizia lo ha lasciato con la pulizia più totale perché è la realtà, però gli ho detto Alessandro non è che tu ora vai alla vucc… vai qua vai alla Vucciria e fai bordello, quello se ne va allo Zen, quello se ne… che significa! Ma pure noi altri stiamo perdendo la faccia… e se tu mi dici no non ho l’obbligo! Quello gli ha detto dal primo giorno “non è cosa mia”.
Ecco perché Teresa Marino si rammaricava che alcuni clienti di sostanze stupefacenti erano andati a rifornirsi in altre zone:“…tutto allo Zen, chi va la… chi va la… chi va la… ma chi! E stiamo facendo brutta figura pure con la zona perché…. una volta… cioè, da noi altri non ho visto mai… ci sono i processi che parlano… un ragazzo va a prendere una cosa dall’altra parte… Mai… “. Era una delle poche cose, sottolinea il giudice Aiello nella corposa motivazione della sentenza, sfuggite al controllo di Teresa Marino.