Tutto inventato, dalle botte alla violenza sessuale da parte del padre. La sentenza azzera le accuse che avevano portato in carcere i genitori della presunta vittima, una ragazza che all’epoca dei fatti denunciati, nel 2011, aveva 15 anni. Si sarebbe spinta ad accusare il padre e la madre di averla punita per la sua omosessualità. Una storia che nel 2016 fece grande scalpore.
Ed invece dietro ci sarebbe stato un piano da parte della ragazza: togliere di mezzo i genitori e portargli via l’attività commerciale e i soldi.
Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Termini Imerese Claudio Emanuele Bencivinni ha assolto S.F. e M.A. con la formula piena “perché il fratto non sussiste”. L’accusa aveva invocato una condanna a 8 anni per il padre e a 2 anni per la madre.
Ha avuto ragione l’avvocato della difesa, Giuseppe Mancuso Marcello. Il racconto della ragazza non ha trovato riscontro. Disse che il suo incubo era iniziato quando i genitori si accorsero della sua omosessualità leggendo i messaggi sul telefonino. Avrebbero cominciato a dirle che era “meglio avere una figlia morta piuttosto che lesbica” e giù botte. Ed invece la presunta vittima si sarebbe inventata tutto.
Già subito dopo l’arresto la credibilità della ragazza scricchiolò e i genitori furono rimessi in libertà. Ora l’assoluzione.
La ragazza si era costituita parte civile con l’assistenza dell’avvocato Giuseppe Bruno, che non nasconde l’amarezza: “Dispiace che il Gup di Termini Imerese non abbia condiviso il lavoro e le conclusioni della Procura della Repubblica. Attendiamo le motivazioni della sentenza e dopo valuteremo i passi successivi. In ogni caso, a prescindere dalla verità processuale, rimane la storia di una ragazza che ha avuto la forza ed il coraggio di costruirsi una nuova vita spezzando legami familiari malati”.