PALERMO – Un altro pezzo di verità emerge diciassette anni dopo la lupara bianca. I carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Palermo hanno arrestato quattro persone per l’omicidio di Giampiero Tocco, ucciso e sciolto nell’acido su ordine del boss Salvatore Lo Piccolo. Fu giudicato “colpevole” di avere partecipato all’omicidio di Giuseppe Di Maggio, figlio di don Procopio, boss di Cinisi.
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Lo rapirono a Terrasini, dove la vittima aveva una macelleria, fingendosi poliziotti ad un posto di blocco. Tocco era in macchina con la figlia. Una bambina di 6 anni che avvertì la madre. Le sue parole sono rimaste impresse nelle intercettazioni. La macchina di Tocco era imbottita di microspie.
I pubblici ministeri Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Roberto Tartaglia, coordinati dal procuratore Francesco Lo Voi, chiedono e ottengono dal giudice per le indagini preliminari Fabrizio La Cascia un’ordinanza di custodia cautelare per Ferdinando Gallina, Vincenzo e Giovan Battista Pipitone, e Salvatore Gregoli. Il primo è bloccato a New York dove nel marzo scorso è stato raggiunto da un provvedimento di fermo per altri due omicidi e sta per essere espulso dagli Stati Uniti. I Pipitone sono in carcere da tempo. L’unico libero era Gregoli, già condannato per mafia in quanto affiliato al mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù.
È stato un altro Pipitone, Antonino, nel frattempo divenuto pentito, a spiegare che non era stata fatta piena luce sulla vicenda. Per l’omicidio sono già stati condannati all’ergastolo Salvatore e Sandro Lo Piccolo, e Damiano Mazzola. Pene molto più lievi per i collaboratori di giustizia Gaspare Pulizzi e Francesco Briguglio.
I carabinieri mettono a posto i pezzi mancanti diciassette anni dopo quel 26 ottobre del 2000, quando il commando dei finti poliziotti entrò in azione in via Papa Giovanni XXIII a Terrasini. Già nel 2008 Pulizzi aveva fatto il nome di Gregoli, ma le sue dichiarazioni da sole non erano bastate per incriminarlo. Sarebbe stato Gregoli ad avvicinarsi alla macchina. “Deve venire con noi in caserma”, disse alla vittima. Alla scena, a pochi metri di distanza, avevano assistito Damiano Mazzola e Salvatore Lo Piccolo. Erano a bordo di un’altra macchina e armati con una mitraglietta.
Tocco fu rapito e condotto in una casa di Toretta. Qui fu interrogato dal Tribunale di Cosa nostra. Sui di lui era caduto il sospetto di avere tradito e fatto uccidere, attirandolo in un tranello, Giuseppe Di Maggio, figlio di don Procopio, storico capomafia di Cinisi.
Le due giustizie si mossero parallele. Quella della mafia e quella degli investigatori. Mentre i Lo Piccolo cercavano i killer del figlio di Di Maggio, i poliziotti indagavano sugli organigrammi della cosca di San Lorenzo. I Lo Piccolo sospettavano di Giampiero Tocco, del quale i poliziotti avevano intuito lo spessore criminale tanto da riempire di microspie la sua macchina. Cosa nostra fece più in fretta. Aveva il vantaggio di giocare sporco. Organizzò un finto posto di blocco, rapì Tocco e lo giustiziò. Su di lui erano caduti da subito i sospetti del clan mafioso. La madre di Peppone Di Maggio durante la veglia funebre del figlio continuava a ripetere il nome “Giampiero, Giampiero”. Il resto è storia recente. Sono stati i carabinieri a raccogliere le nuove dichiarazioni di Pipitone e a scovare i riscontri necessari per arrivare alla nuova ordinanza di custodia cautelare.