PALERMO – Il fedifrago d’altri tempi di solito inciampava sulle macchie di rossetto lasciate sui colletti inamidati, oppure veniva incastrato da biglietti e lettere sdolcinate incautamente dimenticate all’interno del paltò.
Si veniva scoperti anche per il cambio improvviso delle abitudini quotidiane: un po’ come Pina, la moglie dello sfortunato ragioner Fantozzi, insospettitosi per le tonnellate di pane comprate dalla moglie e stipate dovunque: la poveretta non aveva saputo opporre la giusta resistenza alla canottiera e alle ammiccanti allusioni del fornaio Cecco e ai suoi sfilatini.
Insomma, fino a non molti anni fa la ricerca delle prove del tradimento si conduceva in modo abbastanza rudimentale: occorreva soprattutto occhio fino e tanto intuito. Ma oggi, nella società del digitale, tutto questo è pura archeologia: a prendere il posto della penna e della carta da lettere è lui, il signore incontrastato di ogni storia di corna che si rispetti: lo smartphone. Custode di chat, posta elettronica e account di ogni tipo, è il mezzo principale – ce lo dimostra la frequenza con il quale lo ritroviamo nelle molti processi civili e penali a base di infedeltà – usato dagli amanti per veicolare i propri messaggi, spesso criptici e decifrabili soltanto dall’arguzia del partner “ferito”.
Si spazia da profili social con identità fasulle per mascherare contatti e approcci amorosi, a complessi epistolari scambiati attraverso i gestori di servizi di messaggistica, fino ad arrivare a diabolici “doppi fondi” elettronici creati per tenere le conversazioni impure al riparo dall’occhio del coniuge o dell’ignaro compagno. Il quale, quando avrà iniziato a subodorare aria di tradimento, sarà istintivamente pervaso dalla voglia di procurarsene le prove.
La garbata e improvvisa richiesta di consegnare il cellulare per una perquisizione telematica casalinga non è di per sé illecita: se l’interlocutore non sarà impallidito alla richiesta e avrà spontaneamente consegnato lo strumento, il richiedente non dovrà temere nulla.
Tutt’altro è il caso di chi ha frugato tra le conversazioni e la posta elettronica con l’inganno o sfruttando la disattenzione del fedifrago. Il nostro ordinamento tutela, anche a livello costituzionale, la riservatezza della corrispondenza e la sua violazione può anche costituire un vero e proprio illecito penale. L’art. 616 c.p., ad esempio, punisce chi prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa diretta ad altri; e nel concetto di “corrispondenza” rientra pacificamente anche la posta elettronica e telematica (cioè lo scambio di messaggi via chat).
Il fine non giustifica quindi i mezzi: nemmeno chi viola la riservatezza della corrispondenza per portare in giudizio le prove del tradimento è esente da responsabilità: lo dice una sentenza della quinta sezione della Cassazione pronunciata a marzo del 2011. Non conviene quindi calarsi nei panni del detective fai-da-te: del resto, ci si può sempre rivolgere alle agenzie di investigazione privata, magari a tempo debito mettendone i costi in conto al traditore!