La retata dei 'colletti bianchi': 26 arresti | In cella avvocati, bancari e imprenditori - Live Sicilia

La retata dei ‘colletti bianchi’: 26 arresti | In cella avvocati, bancari e imprenditori

DI RICCARDO LO VERSO Una centrale della truffa con sede a Palermo. Era un meccanismo insospettabile che coinvolge il classico mondo dei colletti bianchi. Ecco come funzionava. I protagonisti, le intercettazioni.

PALERMO-Un intrigo internazionale che parte da Palermo e approda nei paradisi fiscali. Un gruppo di esperti finanziari avrebbe organizzato una struttura capace di violare i sistemi di sicurezza delle banche e creare intrecci societari per organizzare furti, truffe e riciclare denaro. “Menti raffinatissime prestate al crimine”, li hanno definiti il comandante provinciale dei carabinieri, Pierangelo Iannotti, e del Nucleo operativo, Salvatore Altavilla.

Agli arresti, fra carcere e domiciliari, sono finite 26 persone su richiesta del procuratore Messineo, dell’aggiunto Petralia e dei sostituti Ferrara, Di Matteo e Sabella. Anzi, le persone raggiunte dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Lorenzo Iannelli sono 26 perché uno dei presunti capi della banda, il palermitano Alfredo Tortorici, un giramondo di recente localizzato in Gran Bretagna, ha fatto perdere le tracce. Molti indagati sono finiti ai domiciliari in virtù del cosiddetto decreto svuota carceri che nel dicembre scorso ha innalzato a 5 anni il tetto di pena per la custodia cautelare in carcere.

Tutto inizia nel 2009 quando i carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo arrestano una dozzina di persone del clan mafioso di Villabate. L’intelligence dei militari traccia gli equilibri della potente famiglia mafiosa che si è riorganizzata per rispondere agli arresti degli ultimi due capi. Prima Nicola Mandalà e poi Giovanni D’Agati. Nelle intercettazioni faceva tappa la voce di Antonino Mandalà, padre di Nicola, arrestato nel 1998, scarcerato nel 2001, condannato in primo e secondo grado. In attesa della sentenza definitiva in Cassazione, Nino Mandalà, è stato assolto dall’accusa di intestazione fittizia di beni e ha iniziato, attraverso un blog, una dura battaglia contro il 41 bis. Tenuto sotto osservazione dai militari è venuto fuori che Mandalà sarebbe stato in ottimi rapporti con Lorenzo Romano, uomo d’affari palermitano che gli investigatori piazzano al vertice dell’associazione sgominata con il blitz di stamani. Rapporti che diedero il via allo sviluppo delle indagini coordinate dal maggiore Alberto Raucci e dal capitano Salvatore Di Gesare del Nucleo investigativo e dalle quali sarebbe emerso che Romano, Mandalà e un altro figlio di quest’ultimo, Giuseppe Andrea, avrebbero avuto interessi in comune nell’agenzia Mutui Time di Villabate, legata alla società Sa.Fi ora sotto sequestro preventivo.

I pm avevano chiesto la misura cautelare anche per Nino Mandalà, ma il giudice l’ha respinta sostenendo che “in base al suddetto materiale probatorio, che evidenzia legami affaristici senz’’altro oscuri tra il Romano ed il Mandalà, comunque allo stato non immediatamente riconducibili ai reati contestati nel presente procedimento, non possono ritenersi sussistenti i necessari gravi indizi di colpevolezza e deve, pertanto, respingersi sotto tale profilo, in ordine all’indagato Mandalà Antonino, la richiesta del pubblico ministero”.

Accesi i riflettori su Romano, i carabinieri scoprirono che nel 2010 il professionista con la sua Advisorteam – società di consulenza per le imprese con sede a pochi passi dalla Cala. Ecco perché il rione palermitano dà il nome all’intera operazione – avrebbe cercato di fare il colpo grosso. Come? Forzando i sistemi di sicurezza e controllo della sede centrale del Monte dei Paschi di Siena e svuotando con un clic i conti dove erano depositati i fondi per le pensioni di 32 mila dipendenti. Qualcosa come 40 milioni di euro. Il denaro, una volta rubato, era previsto che venisse versato alla Falcon Bank di Zurigo e da lì, con successive operazioni “estero su estero”, trasferito alle Cayman. Il lavoro dei carabinieri e la collaborazione dell’istituto di credito ha evitato il peggio. La vera mente dell’operazione sarebbe stato Alfredo Tortorici il quale spiegava a Francesco Spataro che “ci vogliono almeno due passaggi… deve fare un giro dall’altra parte dell’oceano, verso sud, deve girare le acque per poi rientrare dib nuovo eventualmente in una filiale”.

Tortorici si sarebbe avvalso della collaborazione, oltre che di Spataro, funzionario infedele di una filiale palermitana del Mps, anche di abili cracker come Fabrizio Spoto, Giuseppe Burrafato e Alessandro Aiello. Gente capace di smanettare e violare i sistemi di sicurezza delle banche. Spataro prima avrebbe rubato i manuali operativi e i codici di identificazione di alti dirigenti della banca e poi avrebbe consentito a Spoto di accedere clandestinamente nei locali della filiale per creare, attraverso una smart key, un collegamento telematico con l’esterno. Ormai, però, i carabinieri seguivano le loro mosse e hanno avvertito la banca.

C’è poi il secondo capitolo dell’indagine. Quello che ha smascherato i presunti tentativi di riciclare valuta estera. E qui entrerebbe in gioco Giovanni Perrone, imprenditore edile di Castelvetrano, già indagato per mafia nell’inchiesta Golem II assieme ad alcuni presunti favoreggiatori del latitante Matteo Messina Denaro. Perrone, secondo l’accusa, in collaborazione con l’avvocato Antonio Atria e il perito assicurativo Dario Dumas, avrebbe cercato di piazzare ad un prezzo stracciato un milione e mezzo di marchi dell’ex Germania dell’Est e certificati di depositi per 8 milioni di dollari americani. A fare da mediatori dell’affare sarebbero stati gli imprenditori Nicola Stagi, di Viareggio, Eros Sivieri, di Torino, e Germano Zanrosso, di Vigevano. Nel corso di una perquisizione i carabinieri hanno pure trovato la fotografia delle valigette piene di soldi con dentro la prima pagina di due giornali. Era il modo attraverso cui Perrone avrebbe fatto capire agli acquirenti della valuta, fuori conio ma ancora monetizzabile, di essere realmente in possesso del denaro. I militari hanno monitorato una serie di contatti e operazioni bancarie fra San Marino, Montecatini Terme e Bologna, ma non sono riusciti a scovare dove siano finiti i soldi. Ecco perché viene contestato soltanto il reato di tentato riciclaggio.

Altra truffa tentata sarebbe quella che si basava sulla fittizia creazione di false fideiussioni bancarie da utilizzare in operazioni illecite. Ancora una volta l’affare più importante prevedeva di gabbare il Monte dei Paschi di Siena. Negli uffici della banca Spataro avrebbe trafugato i moduli per le polizze. Poi sarebbe dovuto entrare in gioco Eustachio Fontana che, offrendo la polizza in garanzia, avrebbe ottenuto forniture da alcuni grossisti che hanno corso davvero il rischio di restare con un pugno di mosche in mano. Il piano, infatti, prevedeva che la società di Fontana, una delle tante create ad hoc, sarebbe fallita un minuto dopo avere ricevuto la merce e un minuto prima di saldare il debito. E società di comodo Fontana ne aveva due decine a disposizione visto che lui stesso diceva: “… attualmente ho per le mani… che gestisco … che mi stanno lavorando a pieno regime sono 12 società ma ho 22 società messe in lista che … ormai .. diciamo che è una catena di montaggio perché io ogni anno ne programmo due o tre che si inceneriscono”.

E proprio queste società sarebbero alla base del successo della truffa, stavolta riuscita, sugli incassi delle cessioni del quinto e dell’indennità di disoccupazione. Lo stratagemma sarebbe stato semplice ma efficace. Fontana avrebbe individuato alcuni disoccupati con tutti i requisiti per ottenere i vantaggi fiscali. Quindi, li avrebbe assunti e convinti a chiedere ad una società finanziaria la cessione del quinto. I disoccupati, gente con l’acqua alla gola, sarebbero diventati complici in cambio della promessa di incassare subito tra il 30 e il 50 per cento del prestito. Poi, la società falliva. I dipendenti ottenevano dall’Inps l’indennità di disoccupazione che, in parte e anche questa, sarebbe finita nelle casse dell’organizzazione.

AGGIORNAMENTO: Tortorici è stato scarcerato.

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