"Tutta la verità su nostro figlio" - Live Sicilia

“Tutta la verità su nostro figlio”

Qualche estate fa a casa Scieri.  A casa del paracadutista morto in circostanze misteriose. Un racconto pubblicato su "S" che oggi ripubblichiamo in memoria di Corrado Scieri.

“Le cicale cantano e poi muoiono. E che vuoi farci tu? Non puoi fermare i giorni. Non puoi bloccare il corso dell’estate”. E’ la rassegnata filosofia di Angelo, unico tassista di Noto, in viaggio verso  la casa e la storia di Emanuele Scieri.
La villetta degli Scieri è in riva al mare, sul lido della cittadina barocca, pieno come un uovo in un mattino di luglio. Quattro mura sistemate col gusto degli onesti lavoratori che non si sono arricchiti. Lui, papà Corrado, funzionario della dogana, lei, mamma Isabella, professoressa (nella foto). Angelo guida, costeggiando l’azzurro. E racconta: “Poverini, come si fa a perdere un figlio così. Nessuno ti dice niente, nessuno ti spiega nulla. Il cuore non può fare pace con se stesso. E’ triste la vita. Si sa, le cicale cantano e poi muoiono”.
Corrado e Isabella hanno visto il figlio cantare e morire. Il paracadutista Emanuele Scieri è rimasto vittima di qualcosa e di qualcuno nella caserma “Gamarra” di Pisa nell’agosto di dieci anni fa. Intorno alla sua fine è fiorito un roveto di omertà, silenzi e omissioni. Uno sfregio che le istituzioni hanno creato e subito. I genitori di Emanuele hanno pubblicato un libro: “Folgore di morte e di omertà”. Basterebbe il titolo.
La vicenda di Emanuele Scieri è incastonata nelle cronache del mistero, si è sedimentata come un cattivo esempio. Scrive il Corriere della Sera, in una puntuale ricostruzione: “Si potrebbe cominciare da una giornata caldissima, quella del 21 luglio 1999, quando il ragazzo, finito il praticantato in uno studio di Catania, parte per il Car di leva a Scandicci, prima di passare allievo paracadutista a Pisa. Oppure si potrebbe cominciare dalla caserma Gamerra di Pisa e dall’ultima sigaretta, fumata con un commilitone venerdì 13 agosto verso le 22.15 nel vialetto interno lungo il muro di cinta dell’area militare. Si potrebbe cominciare da un ragazzo che cade, dalla vertigine di un ragazzo che cade dall’alto, non si sa quando né come né perché, ma cade, questo è sicuro. Oppure si potrebbe anche cominciare dalla fine, dalle 13.50 del lunedì seguente, quando quattro allievi parà in servizio al magazzino, sotto la stecca del sole vengono investiti da un afrore insopportabile, si avvicinano alla torre per l’asciugatura dei paracadute e ai piedi della scala esterna trovano il cadavere del ragazzo in avanzato stato di decomposizione”. Il volo di un corpo che si decompone e viene ritrovato giorni dopo. Nessuno ha cercato Emanuele, assente al contrappello del 13 agosto. Che gli è successo? Si parla di suicidio, di un salto volontario dalla torre. Ma un’altra dinamica dei fatti si insinua col sospetto.  Forse l’allievo parà è stato vittima di un atto di nonnismo. Ci sono segni di violenza sul suo cadavere. La bufera investe l’allora comandante della Folgore, Enrico Celentano, fresco autore di un volumetto “Lo Zibaldone” in cui si immortalano discutibili pratiche di sottobosco militare. E’ una tempesta che non  dura. La Procura di Pisa archivia, come la Procura militare di La Spezia, con più di una perplessità. La commissione d’inchiesta sollecitata sul caso non vedrà mai la luce.

Corrado e Isabella non hanno smesso di credere nello Stato. Chiedono che le indagini siano riaperte. Entrambi portano i segni di dieci anni di lutto e di tensione. Corrado Scieri, rispetto alle prime immagini televisive, è più magro. Ha gli occhi infossati. Isabella è forte come suo marito, ma  anche i suoi occhi tradiscono l’agitazione. “Noi non abbiamo mai smesso di sperare – dice Corrado -. Chi sa parli. Sono passati tanti anni, è arrivato il momento di spiegare tutto, di svelare la verità.  Per esempio, vogliamo conoscere quella del generale Celentano. Non si è mai fatto sentire in questi anni, nemmeno una parola di cordoglio o di conforto. Perché non prova a squarciare il silenzio?”. “La sera prima della sua scomparsa – dice Isabella – abbiamo parlato con Emanuele al telefono, come sempre. Era sereno e tranquillo. Non aveva il timbro di voce di uno che pensa di togliersi la vita poco dopo”. Perché un atto di nonnismo nei suoi confronti? “Perché era uno che non sopportava i soprusi – rispondono i genitori -. Perché aveva difeso i suoi commilitoni in più di una occasione. Era laureato in legge, lo chiamavano ‘l’avvocato’. Emanuele era una persona che amava prendere le parti dei più deboli”.

 “Le indagini non sono state condotte con lo scrupolo dovuto – dice Corrado – quando abbiamo chiesto al procuratore di affidare l’inchiesta alla polizia e non ai carabinieri, che dipendono dalla Difesa, lui si è adirato, ha cambiato atteggiamento nei nostri confronti”. Ancora Corrado: “C’è un medico militare di Palermo che ha avuto modo di ispezionare il corpo di Emanuele. Ha tentato di mettersi in contatto con noi. Voleva parlarci di alcune stranezze. Poi ha cambiato idea e non si è fatto più vivo”.
Il Corriere racconta: “. Sono le 22.15 (del 13 agosto) quando Emanuele rientra in caserma e da qui in avanti bisogna affidarsi all’allievo Stefano Viberti, un testimone che verrà definito dai magistrati ‘depositario di verità non rivelate’. Il quale racconterà di aver indugiato sul vialetto della caserma fumando una sigaretta con Emanuele, di essersi spinto con lui fino al magazzino del casermaggio, poco distante dalla torre per l’asciugatura dei paracadute.  Alle 22.30 rientra in camerata, mentre Emanuele gli dice che si ferma all’aperto per fare una telefonata con il cellulare (ma dai tabulati telefonici non risulterà nessuna chiamata a quell’ora). Contrappello alle 23.45. L’avvocato Scieri è assente e il suo posto branda è vuoto. Nessuno si prende la briga di andare a cercarlo. Viberti tace ma appare agitato, si affaccia più volte ai finestroni della camerata. Quattro allievi segnalano la stranezza ai caporali, perché conoscendo Lele non riescono a capire la sua assenza. I superiori non se ne preoccupano. Risulterà però che durante il contrappello qualcuno da Pisa ha telefonato all’utenza dell’abitazione di Livorno del generale Enrico Celentano, comandante dei paracadutisti Folgore.  Stranezze: chi ha telefonato e perché? Passa la mezzanotte e passa il 14. Un’altra stranezza il giorno di Ferragosto, anzi due: alle 5.30 del mattino il comandante Celentano in persona effettua una ispezione straordinaria all’interno della caserma. Alle 21.30 nuova ispezione straordinaria questa volta del colonnello Pier Angelo Corradi”.

In “Folgore di morte e omertà”, i genitori di Emanuele scrivono: “Nostro figlio Emanuele Scieri, partito da Siracusa il 21 luglio 1999 per fare il servizio militare nei parà della caserma Gamarra di Pisa, è tornato a casa un mese dopo chiuso in una bara. Non è morto per una fatalità o per una disgrazia: è stato ammazzato. Ma non si sa da chi. Perché la supercaserma pisana della Folgore, dopo essersi trasformata in un mattatoio, è diventata una centrale di omertà da fare impallidire Cosa nostra.  Ancora una volta la giustizia italiana ha dimostrato di essere una pseudogiustizia all’italiana: delitti senza colpevoli, casi irrisolti, archiviazioni invece di verità, fantasmi al posto di imputati, generiche ipotesi invece di accertamenti. E come in altri casi, la vittima, cioè nostro figlio Emanuele, ha perfino rischiato di diventare colpevole, dato che inizialmente si è tentato di metterne in dubbio l’equilibrio psichico e l’integrità morale per rendere credibile la comoda scappatoia del suicidio.  Noi genitori di Emanuele siamo ancora qui a reclamare verità e giustizia. Lo facciamo attraverso questo libro, nel quale abbiamo ricostruito tutta la vicenda. Vogliamo sapere chi, in una caserma d’élite della Repubblica, ha ucciso nostro figlio e perché. Abbiamo il diritto di saperlo, sia come genitori sia come cittadini”.

Spiega Corrado Scieri: “Non abbiamo mai ricevuto una querela  per il nostro libro. Questo significherà qualcosa, o no? Non è mai troppo tardi, rinnovo il mio appello. Chi sa – perché qualcuno sa – deve sapere anche che è arrivato il momento di parlare”. E’ l’ultima richiesta di un padre e una madre dagli occhi stanchi e dai lineamenti consumati. “Ma forse chiedere la verità è perfino troppo – dice Isabella -. La verità, da queste parti, si scopre soltanto quando non può fare più male a nessuno”. E’ la legge di Angelo il tassista, la sua sconsolata filosofia del destino. Niente può impedire all’estate di avanzare e di bruciare la memoria di volti e persone. Di ogni ingiustizia sepolta resta appena un’ombra. Resta il canto delle cicale.

 

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