PALERMO – Insomma, a prescindere dai demeriti, ci vuole pure una certa dose di sfortuna a entrare nella cronaca o nella storia dalla porta sbagliata, per rimanerci. Prendete Salvatore Tuttolomondo, fra qualche anno nessuno ricorderà quasi nulla di lui, se non quella frase “mi vede preoccupato?”, pronunciata con il sorriso della più beata innocenza, con il candore di un infante sottratto per un attimo ai suoi giochi, prima della catastrofe. Tutti aggiungeranno: “‘U’ viri, chistu è chiddu ca unn’era preoccupato”. E giù risatone a bocca spalancata. Addirittura, potrebbe diventare un motto in forma di proverbio: “Totuccio, stai studiando per l’interrogazione di domani (un giorno la scuola in presenza tornerà)?”. “Papà, mi vedi preoccupato?”. Uno schiaffone. E poi: “Un fari comu a tuttolotonno…”. Perché i nomi passano, ma la frasi restano. Identica sorte, mischina, è toccata alla povera Maria Antonietta per una osservazione invero maldestra sul popolo, il pane e le brioches e chissà chi era l’asino del suo addetto stampa. Con due avvertenze: non è certo che la regina di Francia abbia effettivamente dichiarato ciò per cui, fin dalle elementari, è notissima. E comunque si parla soltanto di rivoluzione francese, mica di una cosa seria come il calcio.
L’inchiesta e le reazioni
Detto dell’inchiesta, che abbiamo narrato con dovizia di particolari. Detto e scritto che ‘dovevano salvare il vecchio Palermo, poi miseramente fallito, e ora finiscono in carcere. La Procura della Repubblica contesta ai fratelli Salvatore e Walter Tuttolomondo, di 65 e 53 anni, una sfilza di reati’. Detti e approfonditi i particolari delle indagini, secondo la cronaca fin qui disponibile. Ricostruito l’amaro epilogo della società rosanero, rimane soltanto da capire quanto la vicenda giudiziaria intercetti il battito di un dolore sportivo che, in tempi di pandemia, verrà considerato un nonnulla, ma che qualcosa conta nelle didascalie con cui ci affrettiamo a comporre la parte normale delle nostre vite. E la risposta è scioccante: neanche un po’.
Sì, certo, l’indignazione social. Sì, vero, il blabla da bar dello sport e la nostalgia (la nostalgia, come altro chiamarla?) per una storia che sarebbe stata l’epicentro di lunghissimi dibattiti, mentre oggi è messa all’angolo dai numeri di un bollettino che ci spinge all’allarme.
Eppure, pare di registrare una certa noncuranza in città, come se Palermo avesse divorziato dal Palermo e non da ora. Quando lasci qualcuno e prendi un’altra strada, che te ne frega, in fondo? Oppure così: quando qualcosa è morto, nulla aggiunge al lutto il certificato in carta da bollo. Quel Palermo è morto da tempo nel cuore dei palermitani, chi ha interesse ad ascoltare il rintocco successivo di un’epopea conclusa, sepolta nell’animo per il dispiacere e sotterrata dentro l’oblio per scongiurare il morso del rimpianto?
Il Palermo che è morto e quello che nasce
Sappiamo tutto. Sappiamo che c’è un giovanissimo Palermo, rinato sulle ceneri del vecchio. Una società che può ricevere ogni misura di giudizio, dalle critiche agli elogi. Soltanto ricordando sempre che non va impropriamente associata al disastro che l’ha preceduta. Sono, appunto, nuovi. E hanno il diritto di essere valutati dal tempo recente in poi. E c’è il Palermo che è morto e che ha assunto una consistenza fiabesca, perché le favole sono il rimedio con cui si cura il gramo presente, con un futuro incerto. Il suo mantra è la memoria, l’unica via di fuga.
Ti ricordi? Ti ricordi il gol di Brienza? E la schioppettata di Cassani che annichilì Buffon, di sale in mezzo ai pali? E quando Cavani, con un tiro alla Van Basten, fece cadere la curva dalla gioia? Ti ricordi Guidolin e di come gli volevamo bene, nell’alchimia impossibile ma realizzata tra un uomo con i piedi per terra e una città con la testa fra le nuvole? Ti ricordi i marciapiedi tinti di rosanero? Un amarcord biforcuto, perché l’altra faccia della gioia si chiama Maurizio Zamparini, nella trama di interpretazioni di circostanze che, oltre la loro consistenza, conducono all’altare o al rogo, secondo il canone dell’eccesso.
Infatti, da noi, sappiamo pure che ‘il discorso è uno e il fatto è un altro’, nel tormento di uno sguardo che capisce solo il rosa della speranza e il nero del disamore, senza via di mezzo. Ecco perché, osservando lo spegnimento di cuori che palpitavano, forse, sì, effettivamente c’è di che preoccuparsi e di che vedersi preoccupati.