Ucciardone carcere colabrodo: telefoni lanciati dentro le patate - Live Sicilia

Ucciardone carcere colabrodo: telefoni lanciati dentro le patate

E il detenuto dalla cella curava li affari della droga

PALERMO – La soffiata era circostanziata: il poliziotto penitenziario Giuseppe Scafidi introduce in carcere telefonini per i detenuti. Ed è partita un’inchiesta che ha svelato un’amara verità: il carcere Ucciardone è un colabrodo.

Il blitz di oggi è destinato a crescere nei numeri. Non è una frase di circostanza, ma è fortissimo il sospetto che altri agenti e altri detenuti abbiano potuto usufruire dei canali di comunicazione. Senza contare il ruolo degli intermediari che si sono fatti portavoce dell’irrituale richiesta dei detenuti.

D’altra parte fino al 22 ottobre, data di entrata in vigore di una nuova legge, chi veniva beccato con un telefonino in carcere al massimo scontava qualche giorno di isolamento.

E così all’Ucciardone si è creato un mercato. Chi ha un telefonino diventa potente e chiede soldi per consentire ad altri di fare anche una sola telefonata. Le Sim vengono intestate a soggetti extracomunitari che si prestano al gioco sporco per pochi euro. Il tutto approfittando della politica, definita “lassista” dagli investigatori, di una compagnia telefonica che non presta particolare attenzione all’identificazione degli intestatari.

Come si fa entrare un micro telefono in carcere? Semplice, avvicinandosi alle mura esterne del vecchio penitenziario e lanciandolo dentro una patata per evitare che si rompa. Poi durante l’ora d’aria qualcuno lo recupera e lo consegna a un altro detenuto, un cosiddetto “spesino” così chiamato perché porta il cibo nelle celle. Assieme al cibo, però, consegna anche i microtelefonini.

Con il lockdown per il Covid l’ingresso di alimenti dall’esterno è stato stoppato. Per ovviare al momento di difficoltà Fabrizio Tre Re, uomo chiave del’inchiesta, ha cercato e trovato, secondo l’accusa, la complicità di Scafidi. La cui fama era ormai nota in carcere.

Il 13 luglio un detenuto raccontava alla moglie: “Ci sono le guardie corrotte, paghi la guardia e ti entra qualsiasi cosa”.

A pagare Scafidi per i suoi servigi con 500 euro sarebbe stata Teresa Altieri, moglie di Tre Re. Lo stesso Scafidi, una volta scoperto, lo scorso aprile ha ammesso: “Sono stato contattato da un mio conoscente Rosario Di Fiore (pure lui coinvolto nel blitz) abitante a Pallavicino il quale mi ha detto che era venuto a conoscenza della mia disponibilità ad entrare dei telefonini in carcere”.

La convivente di Scafidi era stata piuttosto chiara con la moglie di un altro detenuto: “Un ragazzo gli ha chiesto un favore, ti pago se tu mi porti questo dentro denaro, gli ha dato 500 euro”. Di telefonini pronti all’uso e ancora da consegnare ce n’erano parecchi in casa.

Il 25 agosto la realtà supera l’immaginazione. Tre Re, che ha una condanna per omicidio sulle spalle, si trova nella sua cella. È sera, accende il telefono e compone il numero di James Burgio (altro indagato). I due si conoscono perché in passato hanno condiviso un periodo di detenzione: “Cinque chili vuole?”, chiede Tre Re. “No, cinque panetti, oppure dieci, mezzo chilo un chilo, se il prezzo è buono me la fai trovare a quattro gliene faccio prendere tre chili tutti con i soldi in mano”.

Accadeva anche questo nel vecchio carcere palermitano, che un detenuto contratti la vendita di una partita di droga al telefono. Non è più il grand hotel Ucciardone dei tempi dei vecchi padrini, ma il penitenziario è ancora un colabrodo. Solo che la Procura vi ha piazzato delle telecamere, raccogliendo immagini inqequivicabili.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI