Ucciso da un calcio in discoteca | Dieci anni all'assassino di Aldo Naro - Live Sicilia

Ucciso da un calcio in discoteca | Dieci anni all’assassino di Aldo Naro

Aldo Naro, la giovane vittima del Goa

La morte del giovane neolaureato in Medicina avvenne in una notte dello scorso febbraio, all'interno della discoteca Goa. Oggi l'assassino è maggiorenne.

PALERMO – Dieci anni di carcere. Cinque in meno di quanti ne aveva chiesto il pubblico ministero. Questa la sentenza nei confronti dell’assassino di Aldo Naro, il giovane neolaureato in medicina ucciso con un calcio alla tempia in una folle notte di febbraio all’interno della discoteca Goa di Palermo. Polemico il legale della difesa, Maurizio Di Marco: “Si tratta dell’unico caso in Italia in cui una rissa, per altro senza armi, fa scattare il reato di omicidio volontario”.

A sferrare il calcio mortale fu Andrea Balsano, di cui oggi facciano il nome perché nel frattempo è diventato maggiorenne. All’epoca della tragedia, un anno fa, era ancora diciassettenne. Oggi viene condannato per omicidio volontario. Ed infatti è stato il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni a giudicarlo colpevole. La pena inflitta è scontata di un terzo come prevede il rito abbreviato. Il giudice, inoltre, ha riconosciuto le attenuanti generiche all’imputato, fra cui quella della ‘minore età’ ai tempi del delitto.

Era stato lo stesso Gup, Salvatore Caponetto, a respingere alcuni mesi fa la richiesta di scarcerazione avanzata dal legale della difesa, l’avvocato Maurizio Di Marco, e alla quale si erano opposti gli avvocati della famiglia Naro, Nino Caleca, Roberto Mangano e Pier Carmelo Russo. L’imputato non aveva mostrato di avere intrapreso il “percorso di revisione critica” dei fatti che gli vengono contestati. E così non poteva essere escluso il pericolo di reiterazione del reato. Erano le stesse motivazioni che avevano portato al diniego della “messa alla prova” per l’imputato. In pratica, chiedeva di essere destinato ai servizi sociali.

Andrea Balsano faceva il buttafuori abusivo nella discoteca e sferrò il calcio mentre Aldo Naro era riverso per terra. Pressato dai carabinieri aveva ammesso il gesto, ma ha sempre negato di averlo commesso con l’intenzione di uccidere. “Andrea ha detto la verità perché non è un assassino”, era stato il commento del suo legale.

Nei mesi scorsi l’inchiesta si è allargata. Tredici persone sono finite nel registro degli indagati della Procura della Repubblica. A cominciare da uno dei gestori del Goa, Massimo Barbaro, accusato di favoreggiamento perché avrebbe protetto il buttafuori abusivo, per finire ai ragazzi, amici di Aldo Naro e non, che parteciparono alla rissa che si concluse in maniera tragica.

La folle notte del Goa è stata ricostruita nei minimi dettagli dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale.“È sicuramente doveroso rappresentare che mentre questi (Aldo Naro ndr) – scrivevano i militari – si trovava riverso a terra dopo avere subito il trauma del calcio al collo… lo sollevavano di peso portandolo all’esterno della struttura nonostante il freddo e la pioggia di quella sera…”.

La richiesta di soccorso al 118 partì da una telefonata alle 3.18. Sul posto sarebbero poi arrivate tre ambulanze. La prima, quindici minuti dopo la chiamata in cui un ragazzo diceva che “… il problema è che sta morendo il ragazzo… serve un’ambulanza vicino il Goa… vicino il velodromo… c’è uno che è morto per terra”. “Mi dia il suo numero di telefono… invece di urlare mi dia il suo numero di telefono”, gli rispondeva l’operatore. L’uomo dall’altro capo della cornetta: “Ma quale numero di telefono… ma che ne so… sono alla serata”. E l’operatore chiudeva in maniera brusca e con una frase inequivocabile: “Ma va scassaci a minchia”.

Pochi secondi dopo era stato Massimo Barbaro, uno dei proprietari della discoteca, a chiamare il 118: “… può mandare guardi un’ambulanza al Goa, è una discoteca in via Pv 46, hanno litigato due ragazzi”. La centrale operativa ha allertato l’ambulanza e contattato la Questura. Nel frattempo, però, sono continuate ad arrivare altre richieste di aiuto. C’è chi entrava nello specifico di quanto accaduto: “… sì perché è scivolato a terra, perché a terra è bagnato ed ha sbattuto la testa..”. Qualcuno, dunque, azzardava una ricostruzione che poi sarebbe stata smentita dai fatti.

Ed ancora, subito dopo, un un altro ragazzo spiegava che “… è successo che c’è stata una lite… di cui non si capisce bene l’entità… i battiti sono veramente leggeri… vi prego fate presto perché il ragazzo secondo me ha qualche lesione cervicale o qualche altra cosa…”. A parlare era un giovane che sarebbe stato poi sentito a sommarie informazioni. Ai carabinieri racconterà di avere frequentato un corso di primo soccorso : “Mi sono accorto che aveva gli occhi semi aperti con le pupille ribaltate e quindi gridavo a tutti che non poteva essere spostato da quella posizione per nessun motivo. Nonostante ciò i buttafuori lo sollevavano per i piedi e per le spalle e lo portavano fuori nel viottolo e lo adagiavano sul pavimento. Mi avvicinavo e intimavo di non toccare la vittima perché avrebbero potuto accusare altre lesioni”.

Aldo Naro, invece, sarebbe stato “sollevato di peso” – come hanno scritto i carabinieri – e portato all’esterno della discoteca. Perché?, fu un gesto dettato solo dalla concitazione di quei momenti? Altri testimoni hanno parlato di lentezza degli operatori intervenuti in discoteca. E di mancanza dell’attrezzatura sanitaria necessaria – “barella spinale e collare” – per affrontare l’emergenza. Sono tutti temi che i pubblici ministeri stanno approfondendo, assieme ad altri aspetti della vicenda. Dai silenzi alle connivenze, dal sottobosco dei buttafuori in nero all’ombra della mafia, ai dubbi che vengono alimentati dalle intercettazioni. “Ma chi ti ci ha portato”, chiedeva il compagno di cella di Andrea, l’autore del delitto, che rispondeva mentre si trovata nel carcere Malaspina: “… ma se gli serviva a tutti il nome”. Ecco perché i genitori di Aldo dicono che prima di parlare di perdono bisogna accertare se sia emersa tutta la verità. Oppure se il reo confesso non abbia voluto coprire qualcuno.

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