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Un giudice tutto per me

Da Lombardo a Schifani
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E poi non dite che il centrodestra vede i magistrati come il fumo negli occhi, o che i piu’ stretti amici del Cavaliere vorrebbero rinchiudere giudici e procuratori in un ovile di sudditanza. Perche’ ormai non c’e’ leader, piccolo o grande, che non voglia un magistrato tutto per se’. Lo vuole con un curriculum dove siano elencate le battaglie combattute non solo contro i boss ma soprattutto contro quella politica che s’imbeve di mafia e si lascia terribilmente inquinare come acqua che si annera.

E se all’eroe antimafia e’ capitato di ammanettare gente che non c’entrava niente con le cosche, chissenefrega. Avere oggi un magistrato nel proprio staff e’ un modo per dire ad amici e nemici che la voglia di legalita’ non e’ solo un principio annunciato, ma una condotta ben praticata. Prendiamo Raffaele Lombardo, eletto presidente della Regione con i voti del centrodestra. Se non avesse deciso di arruolare come assessore alla Sanita’ quel gran magistrato antimafia che e’ Massimo Russo la sua giunta sarebbe mai riuscita a imporre il rigorosissimo piano di rientro a cliniche e laboratori privati, a infermieri e luminari della medicina? Forse no. Con Russo, invece, che resta ancora un portabandiera dei puri e duri di Sicilia, la politica del rigore e’ scivolata liscia come l’olio.

E se non fosse per quei reprobi dei cuffariani che, pur sedendo sui banchi della maggioranza, ancora tentano di ostacolare l’opera di purificazione portata avanti dall’assessore-sceriffo, Lombardo potrebbe vivere giorni di beatitudine politica.Certo, il rigore – come il codice penale – per i nemici si applica e per gli amici si interpreta: lo dimostra il caso delle cliniche catanesi, prima dichiarate fuorilegge dalle norme sull’accreditamento e poi miracolosammente riammesse al gran banchetto delle convenzioni con la Regione. Ma se non ci fossero i peccatori da redimere, a che cosa servirebbero i santi e gli eroi come Lombardo e Russo? Sfugge, per fortuna, a queste logiche, il presidente del Senato, Renato Schifani, ribattezzato da una ironica rubrica del Foglio “il Quirinale di Sicilia”. Il piu’ berlusconiano dei quattro vertici dello Stato ha chiamato, a Palazzo Madama, come proprio capo di gabinetto, Anna Maria Palma, il magistrato che, da esponente di punta della procura di Caltanissetta, ha indagato nientemeno che su Silvio Berlusconi: non per pascolo abusivo o per violazione delle leggi annonarie, ma come presunto mandante – occulto, va da se’ – delle stragi che nel ’92 portarono al macello Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Era il tempo in cui girava per i tribunali un’allegra compagnia di pentiti, a cominciare da quel tale Cancemi i cui ricordi affioravano a rate perche’ la sua memoria somigliava tanto a “una vite arrugginita”. Anna Maria Palma interrogava, inquisiva per dovere del suo ufficio – che’ certamente a lei, cosi’ bella, raffinata ed elegante, quei pentiti dovevano pur suscitare orrore -. E alla fine, separate le fandonie dalle mezze verita’, ha archiviato tutto, dal primo all’ultimo fascicolo. Schifani e’ senza dubbio un uomo dabbene e nessuno potra’ mai sostenere che, con l’incarico dato all’ex pm di Caltanissetta, abbia voluto indossare l’abitino modaiolo della legalita’. Altrettanto dabbene e’ Anna Maria Palma, la cui preparazione e’ fuori discussione.
Pero’, chi potra’ mai negare al presidente del Senato il diritto di dire: ecco, io non ho i corazzieri… pero’ ho dalla mia parte il piu’ bel magistrato antimafia che ci sia, quello che ha indagato, e bene, addirittura su di Lui, caro lei.


da Italpress


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