”O uccidono Lima o uccidono me”. Calogero Mannino, ex ministro Dc indagato a Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, era terrorizzato. E, almeno in due occasioni, nel 1992, comunicò la paura di essere eliminato a un maresciallo dei carabinieri, Giuliano Guazzelli, che ad aprile dello stesso anno verrà poi ucciso da Cosa nostra. A raccontare i timori del politico è il figlio di Guazzelli, Riccardo, sentito come testimone al processo al generale dei carabinieri Mario Mori, accusato di favoreggiamento aggravato. Più volte il pm Nino Di Matteo contesta al teste, che sulla vicenda ha già deposto nel processo per mafia a Mannino, le dichiarazioni rese in dibattimento. Una deposizione tesa, quella del figlio di Guazzelli, dalla quale viene fuori, però, che il padre, per anni in servizio alla polizia giudiziaria, ma in rapporti coi carabinieri del Ros guidati dal generale Antonio Subranni con il quale collaborava anche investigativamente, ricevette le confidenze di Mannino in più occasioni. Almeno due. Una, prima dell’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima, assassinato il 12 marzo del ’92: quando Mannino avrebbe detto al carabiniere ”o uccidono Lima o uccidono me”. L’altra, dopo il delitto dell’eurodeputato, quando Mannino avrebbe detto: “hanno ammazzato Lima ora potrebbero ammazzare me”. Timori che, secondo i pm di Palermo che indagano sulla trattativa avrebbero spinto Mannino ad assumere un ruolo attivo nel dialogo tra Cosa nostra e pezzi delle istituzioni rappresentati dai carabinieri del Ros di Subranni. Dalla deposizione è emerso inoltre lo stretto legame tra Guazzelli e Subranni: un dato che per la Procura conferma indirettamente anche i rapporti tra Mannino e il generale. Da quanto raccontato dal teste, inoltre, l’ex ministro avrebbe raccontato al padre episodi di intimidazione subiti, mai denunciati formalmente.
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