Nasci, studi, scappi via. Il percorso di un giovane siciliano che si affaccia sul mondo del lavoro è quasi obbligato: in Sicilia si frequenta l’Università, si seguono tirocini e praticantati e si prendono aerei, ma di lavorare non se ne parla, come confermano sempre più spesso i dati dei principali organismi economici come la Banca d’Italia. Tra praticantati per allungare l’attesa e statistiche sfavorevoli, la Sicilia volta sempre di più le spalle ai giovani.
Lavorare, oppure no
Più di un siciliano su due non trova lavoro per il solo fatto di vivere in Sicilia. È quello che emerge dall’ultimo rapporto sulle economie regionali della Banca d’Italia, che prende in esame lo stato di salute delle regioni italiane nel 2018. Il tasso di occupazione totale nell’isola è del 40 per cento, ovvero meno della metà dei siciliani in età da lavoro ha un impiego o una fonte di reddito lavorativo. Questo in una regione in cui il tasso di disoccupazione è in aumento dello 0,3 per cento rispetto al 2017. Nelle altre regioni del sud invece la disoccupazione diminuisce dello 0,8 per cento: la Sicilia è l’ammalata d’Italia, almeno dal punto di vista del lavoro.
C’è un gruppo in particolare a essere più colpito dalla mancanza di lavoro, ed è quello dei giovani tra i 15 e i 34 anni. Le persone tra i 15 e i 24 anni nel 2018 erano disoccupate al 53,6 per cento, in aumento dello 0,7 per cento rispetto al 2017, mentre quelle tra i 25 e i 34 anni erano disoccupate al 33,4 per cento, in aumento dello 0,9. Dati che, precisa la Banda d’Italia nel suo rapporto, non prendono in considerazione le persone che non stanno cercando lavoro perché stanno studiando, sono impegnate in un’attività formativa o non hanno interesse a lavorare.
Il risultato secco è che quasi il sessanta per cento dei siciliani è senza un lavoro: con la crisi economica, la chiusura di grandi gruppi e il cambiamento del mercato aumentano le persone che escono dal mondo del lavoro e che trovano sempre più difficile entrarci. Un caso esemplare di crisi che pesa soprattutto su giovani e famiglie è quello del mondo bancario: cinquecento sportelli chiusi in dieci anni per aggregazioni e digitalizzazione, undicimila persone rimaste senza lavoro. La conseguenza, sottolinea il dirigente regionale della Uilca Uil Gino Sammarco, è stato “l’impoverimento delle famiglie e l’esodo dei giovani siciliani”.
Chi lavora, o almeno ci prova
Cosa fa chi lavora? Ci sono, naturalmente, i siciliani occupati soprattutto nei servizi, di cui la Banca d’Italia dà conto in corpose tabelle del proprio rapporto. Quelli che un lavoro ce l’hanno ma potrebbero perderlo, come le migliaia di persone a rischio licenziamento per la vertenza di Almaviva e quelle legate al destino di Cmc. Oppure quelli che un lavoro lo vorrebbero, come gli 8.580 che hanno partecipato al concorso da Navigator, ovvero la figura che dovrebbe aiutare a rientrare nel mondo del lavoro chi ha chiesto e ottenuto il reddito di cittadinanza. Solo in Sicilia hanno fatto domanda per il reddito in 250 mila: tra Navigator e persone che chiedono sostegno, un esercito di persone che vorrebbe un lavoro ma è costretta ad affidarsi allo Stato.
Ma nelle statistiche sugli occupati entrano anche i lavoratori della zona di transizione, quella in cui si lavora per brevi periodi e senza nessuna prospettiva. È la nuvola dei tirocini, dei praticantati, della formazione infinita, una fase provvisoria sempre più definitiva nella Sicilia del 2019. Una condizione della quale hanno preso atto le istituzioni che da qualche anno intervengono con progetti destinati proprio a giovani e neolaureati.
Garanzia Giovani, innanzitutto: 205 milioni di euro investiti per favorire l’occupazione dei Neet, giovani che non studiano né cercano lavoro, e delle persone tra i 16 e i 34 anni in cerca di lavoro. Le misure previste da Garanzia giovani sono diverse, si va dall’apprendistato per alta formazione e ricerca al tirocinio “in mobilità” all’esperienza di servizio civile, ma la sostanza è che si investe su una formazione e su percorsi che dovrebbero precludere l’accesso a un lavoro “vero” e che invece diventano modi per occupare qualche mese.
Un po’ come i 110 posti da tirocinante messi a disposizione di recente dalla Regione: circola un po’ di denaro e si tiene impegnato un po’ di personale, ma la stessa parola “tirocinio” garantisce che non c’è nessuna prospettiva. Una volta la conseguenza più logica del tirocinio sarebbe stata fare stabilmente il lavoro per cui ci si è preparati. Oggi è quella di aggiungere un’altra voce al curriculum, o poco più.
Dello stesso tenore sono le misure previste dall’Avviso 20/2018 della Regione, che prevede un contributo di cinquecento euro per lavoratori come farmacisti, commercialisti o avvocati che sono obbligati a svolgere un praticantato per accedere alla professione. Molto spesso la pratica si svolge alle dipendenze di professionisti che non pagano il praticante, e per questo la Regione aveva previsto di erogare un contributo per aiutare chi stesse affrontando un periodo di praticantato. Ma in questo modo la Regione diventa di fatto lo sponsor di studi e professionisti, intervenendo in una fase del processo che dovrebbe essere di preludio al lavoro vero e proprio. Con i praticantati gratuiti il lavoro si è completamente staccato dall’idea che si debba essere pagati per la propria opera, e la Regione prende atto anche di questa situazione.
Quelli che vanno via
In questo quadro succede un paradosso, certificato dalla Banca d’Italia: il lavoro è di meno, ma il tasso di occupazione rimane stabile. Questo perché i dati sul lavoro vengono calcolati sempre sul totale della popolazione, e in Sicilia negli anni recenti si sta verificando un vero e proprio esodo. Secondo i dati di un altro rapporto, quello con cui Almalaurea ogni anno analizza le tendenze tra chi ha una laurea e cerca lavoro, nel 2018 più della metà degli studenti siciliani ha preso un aereo e si è spostata al nord per cercare lavoro o continuare gli studi. Sempre secondo Almalaurea, la tendenza è di fermarsi a destinazione: un biglietto di sola andata che nel 2017 hanno preso, secondo un report della fondazione Migrantes, 10649 siciliani.
Nella Sicilia del 2019, quindi, il lavoro quando c’è è in riduzione, soprattutto nel campo dei servizi. Chi cerca di decidere cosa fare da grande può scegliere tra entrare nella fucina dei tirocini oppure andarsene via insieme alle aziende che in Sicilia non investono più. L’isola in questo modo si trasforma sempre più in un posto per anziani e pensionati. Una proposta della giunta Musumeci, poi accantonata, andava in questa direzione con l’inserimento in finanziaria di misure per favorire il “modello Portogallo”, ovvero un regime fiscale favorevole ai pensionati che vogliono trasferirsi. La strategia migliore per i giovani forse è questa: aspettare e poi tornare a vivere da anziani in Sicilia. Un paese per vecchi.