Ridateci le Province, senza se e senza ma. Una legislazione da riformatorio voleva riformarle, facendo solo danni e confusione. La legge del taglio (legge d’iniziativa populista, promulgata da sua eccellenza la demagogia) le ha spazzate via.
Un combinato disposto di devastante efficacia, che non ha tagliato un bel niente e ha trasformato le povere, reiette ex Province in una Cosa che non è né carne né pesce, relegandole nel limbo senza fine di un ente impasticciato più inutile della metropolitana a Venezia. Un ibrido, dove comanda il sindaco quando non ha da fare, dove i dipendenti non sanno se domani sarà un altro giorno e dove i servizi che dovrebbero essere resi affogano in un mare di caos e debiti.
Adesso si spera che i palazzi romani ci mettano una pezza e salvino il salvabile (o quantomeno non prelevino Il prelevabile); tuttavia, è lì che attecchisce il verme taglierino, è proprio lì che dimorano quelli dell’antipoltronismo dogmatico. Dove ci sono poltrone si taglia, punto e basta. È la legge del taglio, bellezza: occhio per occhio, ente per ente.
E a nulla valgono le dissertazioni, le argomentazioni, le logiche deduzioni. Forse perché dietro c’è sempre il sospetto (in verità, legittimo) di un calcolo più utilitaristico e meno valoriale? Forse perché la legge non scritta che alberga ormai nelle pance della massa non può permettersi d’essere abrogata dagli strateghi del Cencelli? Davvero non ci si rende conto che qui la battaglia non è per qualcuno, ma è per qualcosa?
Se è così, tacciano i politicanti, pescatori di nuovi scranni da occupare, posizioni da assegnare e pesci da moltiplicare: quella è solo fetida pastura in bocca agli squaletti pinnalocca, rimasti fuori dal giro e spiaggiatisi nella loro stessa inutilità. In effetti, consiglierucoli che non sapevano né leggere né scrivere e assessorucoli che si annacavano con l’auto blu ne abbiamo avuti a sprecare e soldi per questi qua ne abbiamo sprecati; e anche per qualche presidente pesce lesso. È vero.
Tuttavia, la legge da riformatorio di cui sopra ha commesso il grave errore di gettare l’acqua sporca e i pesciolini, perché non ha voluto tener conto dell’importanza della Provincia come ente intermedio tra i territori e i governi centrali, concentrandosi solamente sui suoi costi e sulle sue superfluità. La legge del taglio poi, da buona legge (non)scritta con l’Uniposca dell’antipolitica, ci ha messo il carico: cappotto!
Ed ecco che le strade tra i paesini sono diventate trazzere da terzo mondo; ed ecco che le scuole crepano tra le crepe sui muri e il gelo nelle classi; ecco che la proposta culturale e identitaria dei territori ha perso terreno; ecco che le distanze tra i piccoli centri e le istituzioni centrali, anziché avvicinarsi, sono aumentate; ecco che i sindaci dei piccoli Comuni (eroi senza infamia e senza soldi) non hanno più saputo dove sbattere la testa e ora sbattono la faccia nei sorrisi accomodanti di deputati alla ricerca di stagni in cui pescare. Per non parlare dei milioni di euro di progetti che rischiano di perdersi, e, last bat least, del futuro di centinaia di lavoratori, sia di ruolo che precari.
Ma tant’è, poco importa. L’importante è che nell’immaginario collettivo il messaggio sia passato: si taglia tutto e vaffa alle poltrone.
E tutto resta lì, in quel limbo senza fine, dove gli appelli rimangono inascoltati, dove le speranze dei pinnalocca di farsi un altro giro rimangono disperate, dove le certezze dei padri e madri di famiglia se ne vanno via col vento, dove la legge della pancia è ancora la più forte, dove una riforma squinternata continua a far danni più d’uno tsunami. Dove nessuno vuol ricostruire.