PALERMO – Più che la motivazione della condanna inflitta ad Antonio Vaccarino è un viaggio in un periodo oscuro della storia siciliana. Un viaggio dove il protagonista c’è ma non si vede, ed è il latitante Matteo Messina Denaro.
Messina Denaro: “Causa comune”
Attorno a lui ruotano con ruoli diversi l’ex sindaco di Castelvetrano Vaccarino, con un passato da collaboratore dei servizi segreti, e un ufficiale della Dia di Caltanissetta, Alfio Zappalà, mossi da quella che i giudici definiscono una “causa comune”.
Il primo avrebbe avuto l’obiettivo di carpire notizie riservate su indagini in corso mentre il secondo, che quelle notizie le avrebbe spifferate, sperava attraverso Vaccarino di potere giungere alla cattura di Matteo Messina Denaro. Una cattura di cui però non avrebbe dovuto occuparsi. L’ufficiale della Dia si sarebbe mosso senza alcuna copertura giudiziaria.
Vaccarino lo scorso luglio è stato condannato dal Tribunale di Marsala a sei anni di carcere per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale con l’aggravante di avere agevolato Cosa Nostra. Zappalà è stato invece condannato a quattro anni in abbreviato a Palermo.
Un rapporto bordeline
È un rapporto strano, borderline, quello fra il tenente colonnello e Vaccarino. Un rapporto indecifrabile descritto dalle indagini del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dell’aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Pierangelo Padova e Francesca Dessì. I pm hanno convinto il Tribunale di Marsala (presidente Marcello Saladino, a latere Andrea Agate e Francesca Maniscalchi) che nelle 112 pagine della motivazione si addentra tra misteri, fughe di notizie e uomini che avrebbero fatto il doppio gioco.
Il colonnello e l’ex sindaco
Il primo contatto fra Vaccarino e Zappalà è del luglio 2016. Zappalà vuole carpire da Vaccarino notizie su Messina Denaro. Spera che l’ex sindaco possa riattivare, come è avvenuto in passato, la corrispondenza con il latitante (leggi le lettere con il latitante).
Zappalà e la Dia nissena in quel periodo, per conto della Procura di Caltanissetta, si stanno occupando delle indagini sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992, fatti per i quali Messina Denaro è stato condannato lo scorso ottobre. La ricerca del latitante, però, è di competenza della Direzione distrettuale antimafia palermitana.
Vaccarino si mostra disponibile. È un periodo in cui l’ex sindaco si batte contro le ingiustizie che dice di avere subito. Da sempre si definisce vittima di una “persecuzione” ordita dal collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara. Vaccarino lo ha più volte denunciato, ritenendolo il responsabile del suo arresto nel 1992, della successiva detenzione e della condanna a sei anni e mezzo subita nel 1997. Di recente la Corte di appello di Caltanissetta, su istanza di Vaccarino, ha ammesso la revisione di quel processo.
“L’ultima corrispondenza” col boss
Il 14 dicembre 2016 Zappalà dice a Vaccarino: “… perfetto, mi dovrebbe dare le ultime, le ultime, l’ultima corrispondenza epistolare fra voi due”, Vaccarino risponde: “… qui ci sono riferimenti che poi le dico che… riferimenti diretti che se solo sapessero a chi tengono bordone, dovrebbero soltanto augurarsi di scomparire nelle più orrende profondità, eppure sono, sono esponenti colleghi suoi…”.
Vaccarino, dunque, sostiene di avere notizie importanti, “ma mi fido solo di loro, dei miei amici in quanto affetti…non mi fido più di nessuno, ma di nessuno davvero”. Si dice diffidente, convinto che c’è “tutta una regia alle spalle” per non arrestare Messina Denaro. “Prima ancora di essere operativo in maniera definitiva li voglio tutti qua attorno a me, qua a Palermo o a Bagheria per dire, dove sarà.. ma dico… li vorrò tutti vicini e lo sanno e loro lo sanno”. Vorrà gli amici accanto a sé il giorno in cui, grazie al suo aiuto, sarà arrestato Messina Denaro.
“La fuga di notizie”
Seguono una serie di conversazioni su WhatsApp fino quando Zappalà non invia una e mail a Vaccarino. Il file allegato è la trascrizione di una conversazione fra “Ciro” e “Sebastiano” del 17 marzo 2017.
A parlare, nel marzo 2017, sono Ciro Pellegrino e Sebastiano Parrino, considerarti legati alla mafia di Castelvetrano. Discutono del servizio funebre organizzato dall’agenzia di Vincenzo Santangelo per Lorenzo Cimarosa, cugino di Messina Denaro deceduto da collaboratore di giustizia: “…. l’altro giorno viciu gliel’ha fatto lui (Santangelo) capaci il trasporto a quel fradiciume (Lorenzo Cimarosa) a quel cose inutile… era alla Balia l’altro ieri quando ci fu il trasporto che è morto quello, quel rugnoso là… questo si è buttato pentito per sua convenienza…”.
I nascondigli del latitante
Poi i due fanno dei riferimenti ai possibili nascondigli del latitante, omissati dagli investigatori. Le trascrizioni non sono mai state rese note dagli inquirenti palermitani che danno la caccia al latitante e che hanno scelto di non depositarle nel fascicolo del processo. Segno quest’ultimo che su quelle frasi non si è smesso di indagare. Non si tratta di un capitolo chiuso. Parrino sarebbe stato inserito nel circuito relazionale e di protezione del latitante con cui avrebbe avuto addirittura dei contatti.
L’8 marzo successivo Vaccarino incontra Vincenzo Santangelo, condannato per mafia e droga nello stesso processo di Vaccarino, che si giustifica: “…loro, loro comunque stanno pagando fino all’ultimo centesimo e siccome soldi non ne avevano, non ne aveva…'”. Vaccarino: “Non mi interessa… Vice ‘ ma questo non c’entra, Enzo cerca vedi che sei partito per un discorso sballato completamente, che cazzo mi interessa se tu non…”.
“Con l’uso che tu sai di doverne fare”
Vaccarino, secondo l’accusa, vuole metterlo in guardia ed è ora che gli passerebbe la trascrizione : “…con l’uso che tu sai di doverne fare e con la motivazione che la tua intelligenza sa che mi spinge, un colloquio tra due secondo me pezzi di fango e nient’altro perché non ce ne è altri qua, eh dice c’è andato a fare il funerale fa finta a questo fango che si è pentito che si lanzò”.
Ed ecco la frase chiave “con l’uso che tu sai di doverne fare” che secondo i giudici smaschererebbe la reale intenzione di Vaccarino e cioè aiutare Pellegrino e Parrino ad eludere le indagini.
I tanti dubbi
Restano tanti dubbi a cominciare dalla scelta di Vaccarino di farsi ancora una volta avanti. Era già accaduto all’epoca del carteggio con Messina Denaro nel quale si firmava Svetonio. L’ex sindaco aveva offerto la sua collaborazione ai servizi segreti tra il 2004 e il 2006, parlandone con Mario Mori e Giuseppe De Donno (i due ufficiali sotto accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia). Disse loro di essere in grado di stanare Messina Denaro. Vaccarino finì pure sotto indagine, ma l’inchiesta fu archiviata quando si seppe che si muoveva per conto dei servizi segreti. Nel decreto di archiviazione, però, si faceva riferimento alle sue “dichiarazioni palesemente ambigue e contraddittorie”.
Quindi Vaccarino si è rifatto avanti con i pm nisseni da anni impegnati nei nuovi processi sulle stragi del ’92. A raccogliere la sua testimonianza sono stati il procuratore aggiunto Gabriele Paci e il colonnello Zappalà che però, come ha confermato il magistrato nisseno, non aveva ricevuto alcun incarico su Messina Denaro per il semplice fatto che non poteva riceverlo visto che la Procura di Caltanissetta non aveva e non ha alcuna competenza per le indagini sul latitante.
I nuovi rapporti con i mafiosi
“Pregiudicare le indagini in corso e aiutare Parrino e Pellegrino ad eludere le investigazioni”: questo secondo i giudici di primo grado sarebbe stato il solo e unico obiettivo di Vaccarino che avrebbe continuato ad avere rapporti con i mafiosi nonostante la “macchia” della sua collaborazione con i servizi segreti per stanare il latitante.
Poteva un uomo con il suo passato ottenere di nuovo il favore dei boss? Eppure, sottolineano i giudici, “non può non osservarsi come la vita concreta vissuta dall’imputato non aveva risentito negativamente del diffondersi della notizia, non solo non aveva subito ostacoli o danneggiamenti con riferimento all’attività commerciale (un cinema gestito a Castelvetrano), né aveva dovuto scontare la riprovazione sociale pubblica”.
“Firmato Messina Denaro”
Di lui Messina Denaro si era fidato tanto da scrivere, nel 2004, a Bernardo Provenzano in una lettera trovata a Montagna dei Cavalli: “tengo a precisare che per me (Vaccarino) è una brava persona che voglio bene e che stimo… io so che lui agirà sempre in bene per tutti noi e per la nostra causa”. Firmato “Alessio”, lo pseudonimo usato da Messina Denaro, così hanno accertato gli investigatori, che invece si si sarebbe firmato “M. Messina Denaro” nella lettera che Vaccarino disse di avere ricevuto nel 2007 quando si seppe della sua collaborazione con i servizi segreti. C’era scritto: “Lei ha buttato la sua famiglia in un inferno. La sua illustre persona fa già parte del mio testamento. In mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti”.