Verità per Daouda: la lettera degli studenti del Marconi di Vittoria

Verità per Daouda: la lettera degli studenti del Marconi di Vittoria

I ragazzi dell'istituto alberghiero: “Chi sa parli. Siamo pronti a denunciare l’ipocrisia e l’ingiustizia”

VITTORIA (RG) – Inghiottito dal nulla, scomparso nel silenzio dopo le battaglie per i diritti degli operai a giornata. A rompere la cortina di omertà che circonda il mistero della fine di Daouda Diane, l’ivoriano sparito nel nulla il 2 luglio scorso mentre si trovava al lavoro al cementificio Sgv di Acate, nel Ragusano, sono gli alunni dell’Istituto professionale alberghiero Marconi di Vittoria. Con una lunga lettera – pubblicata e diffusa dall’associazione Libera – hanno deciso di lanciare un appello per non fare cadere l’oblio sulla vicenda del 37enne scomparso poche ore dopo aver denunciato con un video l’assoluta mancanza di sicurezza nel cantiere in cui lavorava a nero. Un invito aperto a chi, avendo visto o saputo qualcosa, possa essere di aiuto nelle indagini: “Chi sa parli e ci aiuti a fare verità”. Nei primi giorni dopo la sua sparizione , si indagava per la scomparsa dell’uomo. Dopo il 21 luglio, le indagini sono per omicidio e occultamento di cadavere. Ma il fascicolo è contro ignoti.

A distanza di cinque mesi, insomma, restano ancora molte ombre, che i diciassette ragazzi firmatari dell’appello provano a fugare dicendosi “pronti a denunciare l’ipocrisia e l’ingiustizia”, soprattutto dopo aver affrontato in classe “il tema delle migrazioni e delle esperienze traumatiche che voi migranti vivete sin da quando lasciate il vostro Paese, nonché della piaga del caporalato”.

Adolescenti o poco più ma con le idee già chiare. E tanta voglia di alzare la voce e battersi per la dignità dei lavoratori sfruttati: “Come non restare scioccati dalla violenza che subite nell’inferno dei centri di detenzione libica e, infine, quando arrivate, in quella che poteva essere la vostra ‘terra promessa’? – si legge nella lettera -. Questa spesso si trasforma per voi migranti in terra di schiavitù, impiegati a lavorare in nero, sfruttati da caporali senza scrupoli ed esclusi socialmente”.

Riflessioni e punti di domanda che li portano a volgere uno sguardo incerto anche sul loro prossimo futuro: “Ci stiamo formando perché un giorno vorremmo lavorare nel campo dell’accoglienza turistica/ristorazione, non di rado, anche noi veniamo sfruttati prima di essere poi riconosciuti nelle nostre competenze”.

Da qui la vicinanza a Daouda: “La tua lotta per la giustizia, l’eguaglianza, la legalità, il riconoscimento dei diritti, la libertà è anche la nostra lotta. Pensando a te, caro Daouda – è scritto – ci è venuta in mente una canzone di Max Gazzè dal titolo ‘Il dio delle piccole cose’”. Che recita così nell’ultima strofa: “Il Dio delle piccole cose aspetta la fine del cammino, con un sacco sgualcito dal tempo ed un piccolo inchino. Chissà se ci ridà indietro le vite che abbiamo in sospeso. Io credo sia questo l’inferno e il paradiso”.

Infine aggiungono: “A scuola ci insegnano a maneggiare tanti ingredienti per realizzare dei piatti gourmet ma tu ci hai insegnato che è importante, per un Paese realmente democratico trattare altri “ingredienti” per gustare la bellezza del vivere insieme, in pace. Vogliamo essere uomini e donne amanti della verità”. Quella verità che, purtroppo, ancora per Daouda tarda ad arrivare.


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