"Via D'Amelio mi ha rubato la vita" - Live Sicilia

“Via D’Amelio mi ha rubato la vita”

La testimonianza di Murana
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Nel 1994 la finale dei campionati mondiali è stata Brasile-Italia. Una partita sfortunata, appesantita dal tiro dagli undici metri di Roberto Baggio con la palla che ha raggiunto il più lontano anello dello stadio. Con questo ricordo è andato a dormire Gaetano Murana senza sapere che la “sfortuna” non l’avrebbe abbandonato quella notte, ma il giorno dopo si sarebbe ripresentata in una forma ben più pesante. (IL VIDEO)

Così Murana si alza dal letto alle quattro di mattina, di prepara a uscire per prendere servizio all’Amia. A quell’ora non c’è nessuno in giro, prendere un controsenso non appare proprio un crimine. Eppure le forze dell’ordine gli sbarrano la strada. “Va bé, la solita multa, perdite di tempo e così via” pensa. Ma Murana viene portato nella cella di sicurezza della questura e tenuto lì tutto il giorno, fino a quando di sera gli agenti si presentano con un pacco di carte in mano. Murana risultava coinvolto nella strage di via D’Amelio. Ride, Murana, pensa che ci sia un tragico malinteso. Ma gli agenti, invece, sono serissimi e lo prelevano per portarlo a Pianosa, nel carcere di massima sicurezza. Ha così inizio un incubo per l’operatore ecologico. È ritenuto uno dei membri del commando omicida, l’addetto alla bonifica, in particolare, accusato da Vincenzo Scarantino.

Murana ha deciso di parlare dopo la scarcerazione decisa dalla corte d’appello di Caltanissetta, a “Servizio Pubblico”. E racconta “tutte le sevizie di questo mondo” subite in carcere. “Ho visto l’inferno” continua a ripetere. Fino a dire “uccidetemi”. In primo grado è condannato per associazione mafiosa, ma assolto per la strage. Ma in appello, l’accusa più pesante viene confermata e per lui scatta l’ergastolo. Era il 18 marzo 2002 e per Murana è stata un’altra notte insonne. Baggio era alle prese con l’ennesimo infortunio, non giocava più in nazionale e i mondiali in Corea erano ancora lontani. Alle due di notte è stato nuovamente prelevato dagli agenti e portato in carcere. Nel 2003 la sentenza diventa definitiva ma, dice Murana, “il processo si vedeva che era falso”.

Quando Scarantino ha ritrattato ha spiegato di averlo accusato perché gli era “antipatico, non mi dava confidenza. È giusto quello che ha detto, non gli davo confidenza” afferma Murana. Ma se lo incontrasse oggi, per le strade di Palermo a Scarantino? “Lo saluterei, gli offrirei il caffè… perché è stata una vittima, si sono presi gioco di lui”.

Ma la sfortuna di Murana, da quella notte del Rose Bowl di Pasadena, decide di abbandonarlo. Un giorno viene chiamato e il sovrintendente del carcere lo aspetto con un foglio di carta e una penna: “Si prepari la roba che è in libertà”. “Mi viene anche ora da piangere, la pelle d’oca, un momento che non potrò mai dimenticare, come non dimenticherò le sevizie subite a Pianosa” racconta Murana.

E oggi. “Non me la sento di vedere mia padre, per farmi dare 50 mila lire per comprare un paio di scarpe a mio figlio. Devo guadagnare io, come mi ha insegnato mio padre”. Ora aiuta i suoi zii nel commercio ambulante del pesce. Solo che oggi si paga in euro, non in lire.


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