PALERMO – “Non si guardano mogli di amici nostri”, c’era scritto al punto 2 del decalogo del perfetto mafioso che Salvatore Lo Piccolo, boss di San Lorenzo e uomo all’antica, si portava dietro. “Divieti e doveri” si legge in alto al centro della pagina. Lo aveva con sé anche il giorno che lo arrestarono a Giardinello nel 2007.
La regola, evidentemente, non valeva per Matteo Messina Denaro. Un’evidenza che viene fuori dalla cronaca. Il padrino non aveva chissà quale considerazione delle donne. Peggio ancora se intelligenti. “Questo tipo di donne non me le filo neanche di striscio”, scriveva nei suoi diari. Un uomo pieno di sé, presuntuoso e arrogante.
E volgare, persino nei libricini lasciati in eredità alla figlia Lorenza. Negli scritti si dilungava a parlare di sesso con dettagli morbosi e perversioni. Un padre normale non si sognerebbe di affrontare con la propria figlia certi temi con determinati toni.
Messina Denaro era tutto fuorché un uomo normale. Compresa la sistematica violazione del codice d’onore di Cosa Nostra (serve un grande sforzo per associare la parola onore a coloro che uccidono, uomini, donne e bambini ma tant’è).
La professoressa di Matematica Floriana Calcagno è l’ultima delle cinque amanti – tra quelle che si conoscono – che il padrino ha avuto nella sola Campobello di Mazara. La donna è sposata con Paolo Del Santo, condannato per avere favorito alcuni mafiosi legati a Messina Denaro.
C’è poi la maestra Laura Bonafede, la donna di un’intera vita, moglie del killer Salvatore Gentile, all’ergastolo per avere ammazzato su ordine proprio di Messina Denaro. Ed ancora la postina Lorena Lanceri e altre due donne di cui non sveliamo l’identità perché allo stato non risulterebbero avere aiutato il latitante.
Bonafede era gelosissima della professoressa Calcagno e di Lanceri. E non lo nascondeva. Secondo l’accusa, tutte e tre sapevano tutto. Che Messina Denaro era un sanguinario ricercato e pure che venivano sistematicamente tradite. Eppure gli sono rimaste devote con un attaccamento che sfocia in una condizione patologica.
Neanche il migliore sceneggiatore di soap opera avrebbe potuto immaginare un tale intreccio di relazioni e reazioni indispettite. Bonafede definiva la prof rivale in amore “handicappata” e “gatta morta”, nel frattempo Messina Denaro segnava sul calendario le date in cui doveva incontrarla. La prima impazziva di gelosia e la seconda se ne andava al ristorante in riva al mare con il suo adorato assassino. Il boss contava i giorni che mancavano all’incontro con la sua “luce”.
Donne maltrattate eppure nessuna si è mai sognato di tradirlo. E neppure i mariti per la verità hanno avuto qualcosa da ridire. Troppo facile catalogare il rapporto di Messina Denaro con le donne alla voce “seduzione del male”. È una connivenza intima e profonda, l’essenza della mafiosità.
Cinque amanti nella sola Campobello e tante altre in giro per la Sicilia. E parliamo degli ultimi periodi della sua vita prima di morire per il tumore. Nel passato ci sono altre donne. Franca Alagna che lo ha reso padre di Lorenza. Il rapporto è segnato da sentimenti altalenanti. Nei suoi diari la ringrazia per essere stata colei “che ha dato un senso alla mia vita”, ma nel passaggio successivo la critica ferocemente dandole la colpa di averlo allontanato dalla figlia. (leggi tutti i diari di Messina Denaro)
Nel 2009 scriveva alla figlia Lorenza: “Lo dissi a tua madre che appena saresti diventata grande ti avrei detto che sua madre voleva ucciderti in grembo. Fu allora che tua madre cambiò atteggiamento cominciando ad educarti ad odiare me”. Per un periodo madre e figlia sono state costrette a vivere, sorvegliate a vista, a casa dei parenti di Messina Denaro. Alla fine l’odio è sparito tanto che Lorenza ha preso il cognome del padre poco prima che morisse.
“Sei la cosa più bella che ci sia”, scriveva a Maria Mesi con cui sul finire degli anni Novanta si incontrava in un’alcova ad Aspra, frazione marinara di Bagheria, in provincia di Palermo. Sapeva essere spietato Messina Denaro.
Lo fu nella relazione con l’austriaca Andrea Haslehner che in estate lavorava all’hotel “Paradise Beach” di Selinunte. La storia durò tra il 1988 e il 1993 e fu segnata dall’omicidio del direttore dell’Hotel, Nicola Consales, ucciso dagli uomini del boss a febbraio del 1991. La sua colpa? Essersi invaghito della donna e avere protestato per la presenza nell’hotel del giovane Messina Denaro.
Che da adulto non ha smesso di vantarsi del fatto di essere un seduttore. E le donne reagivano: “Non c’è proprio niente da ridere, per ora se penso a Sbrighisi (soprannome di Floriana Calcagno) che passava con quella faccia compiaciuta, dopo essere stato con te, le bastonate gliele darei eccome”, gli scriveva Laura Bonafede. Che però mai ha smesso di amarlo.
Floriana Calcagno si difende. Al giudice Filippo Serio ha detto di avere avuto una breve relazione sentimentale con il latitante di cui non conosceva l’identità. Per lei è sempre stata, solo ed esclusivamente, il medico Francesco Salsi.
“La vicenda giudiziaria che sta interessando la mia assistita necessita di ulteriori chiarimenti – spiega l’avvocato Ferdinando Di Franco, legale di Calcagno – in parte già resi in questa prima fase processuale e che saranno oggetto di eventuali ulteriori approfondimenti, al termine della completa lettura del copioso materiale indiziario”.
Il difensore conclude sostenendo che, “a prescindere dall’esito processuale, si è già consumata una tragedia personale, non potendo svolgere l’attività lavorativa, e anche familiare, essendo la mia assistita, oltre che moglie, anche madre”