PALERMO– Poveri medici, poveri infermieri, povero personale in camice. Perché, dopo le bandiere dell’inizio pandemia, dopo il ‘siete tutti noi’, dopo i canti e gli incitamenti, quando avevamo paura e ci servivano, sono tornati a essere i soliti ‘sciagurati’ nello sfalsamento dell’immaginario popolare.
‘Poveri’ non è un aggettivo per umiliarli ulteriormente, ma per descrivere quanto siano bistrattati ora che un Paese forse un po’ ingrato si sente fuori dall’abisso. Ricominciano le contumelie, le accuse, al netto delle ragioni di critica che vanno benissimo, quando sono concrete. Ricomincia l’uso inappropriato del Pronto soccorso, anche per prestazioni che potrebbero essere erogate altrove.
Aurelio Puleo, primario del reparto di emergenza di Villa Sofia, è un uomo che fa il suo lavoro e che raramente si sbottona. Appena due frasette: “Con il ‘Cervello’ dedicato al Coronavirus, siamo, ovviamente, entrati in crisi, perché l’utenza è raddoppiata, mentre noi restiamo sempre gli stessi. Una sola cosa voglio annotare. Siamo stati gli eroi di un giorno, adesso non lo siamo più. Non mi faccia aggiungere altro”.
Eppure, ne avrebbero di storie da raccontare coloro che indossano il camice e passano attraverso giorni incandescenti e notti terribili. Sono pochi, specialmente nel Pronto soccorso, e devono sbracciarsi, moltiplicarsi, correre di qua e di là con i dispositivi di emergenza. Vogliamo metterci, per un attimo, nei loro scomodi panni?
E certo ci saranno anche quelli che non lavorano bene. Gli sgarbati, gli incompetenti. Ma sono una minoranza. Il resto che affronta la fatica è sconfortato. Come le parole del dottore Puleo. “Gli eroi di un giorno”.
Poi è finita. Le bandiere sono tornate nei cassetti a prendere polvere. La reciproca solidarietà è già un abito logoro, come i sorrisi e gli olè che l’accompagnavano.