Interno pronto soccorso di Villa Sofia. C’è un uomo disteso a terra, accanto alla sala rossa, anche se ci sono lettighe e sedie disponibili. Cercano di farlo rialzare, non ci riescono, nonostante il garbo e l’impegno. Lui rimane lì, con i suoi problemi, ostinatamente incollato al pavimento, circondato dalle scarpe anti-scivolo di chi lavora, dai passi incerti dei pazienti, dai piedi di dottori e infermieri che volano, letteralmente volano, perché la truppa che affronta la battaglia è sparuta, mentre la calca dei sofferenti preme. Ci saranno appena due dottori, in questa parte di ospedale, per una marea di pazienti.
Venerdì sera. Interno pronto soccorso di Villa Sofia. Non volevi esserci, come nessuno vorrebbe mai esserci, però ci sei. L’infermiere cortese del triage prende il secondo impatto del dolore, dopo che una giovane e gentilissima infermiera ha ‘tamponato’ tutti.
Qualcuno racconta: “Non è facile per noi che lavoriamo. Un collega è diventato sordo perché ha ricevuto un pugno, un altro lo stavano strozzando con i fili del macchinario per l’elettrocardiogramma”. No, non è semplice mantenere l’equilibrio. Dalla porta a vetri che si aziona con un pulsante rosso, spunta un medico con gli occhi lucidi. Smozzica frasi impercettibili tra sé e sé. Qui, lo stress raggiunge la sua espressione suprema, da manifesto, da postulato.
Sguardo panoramico. Una ragazza in uniforme, inappuntabile, sulla lettiga, geme senza farsi sentire e si capisce che si trattiene per dovere di autocontrollo. Un’altra ragazza su un’altra lettiga telefona. Nella sala contigua, un’altra ancora piange e si dispera.
Sabato mattina, dopo una notte di speranze, attese, sonno e disagi. Due pazienti con il colpo di frusta non hanno trovato di meglio che delle sedioline. Non è agevole riposare lì, dopo un incidente, quando il corpo vorrebbe un po’ di tregua.
Accanto alla sala rossa, c’è, dunque, un uomo disteso a terra. I dottori, gli infermieri, gli operatori socio-sanitari confabulano. Lui – così, almeno, sembra – non vuole essere sollevato. Le emergenze incombono. Che fare? Bisogna correre altrove e, per qualche minuto, l’uomo disteso a terra resta così: disteso a terra. Arriva un operatore socio sanitario. Gli parla, lo abbraccia e lo solleva. Finalmente, quell’uomo ignoto, “problematico e psichiatrico”, come sussurra qualcuno, viene deposto, anche lui, sopra una lettiga.
Nel frattempo, i medici, gli infermieri, gli operatori, le anime che abbiamo incontrato al pronto soccorso di Villa Sofia, non hanno mai smesso di affrettarsi, di curare, di visitare, di sorridere e di essere gentili, nonostante tutto. Non c’è stato uno dei sofferenti che sia rimasto senza aiuto. Tutti sono stati confortati, in una bolgia infernale.
Lui, quell’uomo ignoto, è rimasto lì, fino a quando qualcuno è riuscito ad avere tre minuti per abbracciarlo e farlo sentire importante. E se nessuno, in un pronto soccorso, ha il tempo che non sia strettamente necessario, c’è un problema. Che riguarda la politica e chi ha chiamato i medici ‘eroi, per poi abbandonarli.
Sabato mattina, interno pronto soccorso di Villa Sofia, Palermo. Le dimissioni suonano come la campanella della ricreazione a scuola. I volti cupi, per chi può, si trasformano in sorrisi. La ragazza in uniforme dimentica le scarpe e torna a prenderle, prima di eclissarsi. Anche lei, come tutti, ha fretta di volare via. (Roberto Puglisi)