Gli agenti della polizia penitenziaria esposti al rischio di contagio in carcere. Una lettera firmata da sei sigle sindacali degli agenti di polizia penitenziaria si rivolge al presidente della Regione Nello Musumeci per chiedere che sia effettuato il tampone sugli agenti che prestano servizio in carcere. “Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria impegnati sul campo, purtroppo, non possono contare su dispositivi di protezione individuale sufficienti sia in termini di dotazione che di efficacia – si legge tra l’altro nella lettera -, e l’indicazione è quella di utilizzarli solo qualora il rischio di possibile contagio sia evidente. L’esperienza ci indica che anche le persone che non presentino sintomi di infezione evidenti (cosiddette asintomatiche) possono, in maniera inconsapevole, veicolare il virus. E così, i sindacati invitano a trattare gli agenti alla stregua del personale sanitario esposto al contagio: “Le chiediamo di voler istituire un protocollo che preveda il c.d. “tampone” (o altra attività che certifichi la negatività al COVID-19) per gli operatori della Polizia Penitenziaria che prestano servizio in regione”.
La situazione delle carceri al tempo del Coronavirus ha destato preoccupazioni. Nelle scorse settimane ci sono state le rivolte in molti istituti penitenziari, alcune sfociate nel sangue o in clamorose evasioni di mazza. Ora la situazione si è normalizzata. Alcuni Paesi come l’Iran hanno disposto la scarcerazione di decine di migliaia di detenuti in questo periodo. In Italia, il governo ha previsto la detenzione domiciliare per chi ha meno di 18 mesi di pena da scontare, anche alla luce del noto sovraffollamento delle prigioni italiane, che viola le disposizioni del diritto. Ma ci sono ancora degli aspetti critici, come ha sottolineato in questi giorni il garante per i detenuti Giovanni Fiandaca, a proposito di un eccesso di discrezionalità rimasto ai giudici (qui l’articolo). In Francia il ministro della giustizia ha annunciato il rilascio di 5.000 detenuti.

