PALERMO – Palermo. Zen 2. Signore e signori benvenuti (?) nella Gomorra di casa nostra. Anzi, di Cosa nostra. L’inchiesta della Direzione investigativa antimafia è un viaggio dentro le viscere dei padiglioni di uno dei quartieri storicamente più degradati della città. Tra droga, abusivismo, soldi sporchi e pizzo. Ne viene fuori uno spaccato, l’ennesimo, desolante a tal punto da spingere il procuratore aggiunto Teresa Principato a dire che “la speranza e l’ottimismo che le cose cambino non sono sentimenti che mi sento sinceramente di nutrire”. Un pugno nello stomaco.
Chi, secondo l’accusa, sguazzava nel degrado erano soprattutto Guido Spina e Vincenzo Cosenza. Facevano soldi a palate con la cocaina e l’hashish. La villa bunker di Spina, dove trascorreva gli arresti domiciliari, era il cuore pulsante di ogni attività illecita. Lui viveva lontano dai padiglioni, lontano dalla calca delle case popolari. Si era costruito una bella villetta in via Trapani Pescia. Totalmente abusiva.
Spina e Cosenza avevano un gran bel da fare per soddisfare le esigenze dei clienti. Lo Zen 2 era diventato il centro di approvvigionamento per gli spacciatori di mezza città. “Per giovedì compà un pezzo di quaranta mila euro – diceva Cosenza a Spina -… poi c’è quarantaquattro chili di papagna… ne sto uscendo quindici e se tu vedi sono venti chili con quelli della via Cipressi… venti chili poi non so qua come è finita… ancora ne ho qua altri ventiquattro chili”.
Tanta roba e tanti soldi. Ancora Cosenza: “2, 4, 6, 8, 10 e questi sono dieci mila.. tieni compà sono riportati qua, 50 chili e mezzo costa mille e rotti ci sono 93.425, gli ho dato un acconto di 35.010 io glielo dico ad Angelo scendimela vieni a Palermo ti do 28 mila euro… perché noi andiamo direttamente dai grossisti… non è che andiamo dai ragazzini… te ne devi andare a Napoli, subito te ne sali da Gennaro ci vai a fare il discorso… prodotto buono e soldi ti devi fare dare da lui… lui ti dice Guido non è possibile, amici come prima scendi e ti fermi da Angelo”.
La droga arrivava in Sicilia da Campania, Calabria e Puglia: “La rischiamo noi altri, la dobbiamo scendere noi, la devo scendere io – diceva Cosenza – uno lo metto a Messina, uno lo metto a Villa San Giovanni, tre telefonini… puliti e io devo passare qua ci vuole Francesco che se ne dovrebbe andare a Villa”. Una volta a Palermo gli stupefacenti venivano subito smistati. Ancora una volta sono le intercettazioni a svelare l’esistenza di una fitta rete di venditori. Spina e Cosenza ne discutevano senza usare alcun linguaggio criptico. Nella villa bunker al civico 34 di via Trapani Pescia si sentivano al sicuro. Non è stato facile per la Dia, d’altra parte, violarne i sistemi di sicurezza, tra doppi cancelli e telecamere di videosorveglianza. Una volta dentro, però, le microspie piazzate dagli uomini guidati dal capocentro Giuseppe D’Agata e dal colonnello Alberto Tersigni hanno svelato il grande business della droga: “Davide ti deve dare 450, Francesco ci deve dare 420, 480, 220, 1100 euro me li deve dare Fabio perché gliene ho dati cinque chili… u pallino mi deve dare 10.000 e 500 euro… 8 mila euro ce li deve dare il Masi e 2200 me li deve dare Gioacchino che gliene ho dato un altro chilo… Aldo un 700… Fabio quello di Passo di Rigano 3000… 7 e 50 me li deve dare questo Davide del Michelangelo”. L’8 maggio 2012 Spina riceveva un tizio a casa. Uno dei tanti personaggi non ancora identificati a cui chiedeva “quanti sono questi?”. “5000 mila euro”. Spina fiutava l’affare: “Questa la facciamo girare per tutta Palermo, la roba, capisci? Diglielo, hashish, gli è arrivata ora a Guido… prima che la distribuiscono”.
Non c’era solo la droga. Allo Zen il pizzo si imponeva più per mantenere il controllo del territorio che per fare cassa se si considera che i commercianti erano costretti a versare cinque euro a settimana. Un intero rione sotto il giogo di Spina e Cosenza. Il gommista, il panettiere, il titolare della piccola bottega di alimentari, il fotografo di via Gino Zappa, ad esempio, pagavano il tributo alla mafia – come l’ha definito il procuratore Messineo – incassato da Letterio Maranzano e Salvatore Vitale. “Seminavano il terrore”, ha aggiunto il procuratore aggiunto Vittorio Tersesi.
Il controllo sul quartiere era da Gestapo. “Fai una cosa Francè – diceva Spina al genero Francesco Firenze – posi il motore e cammini a piedi, padiglione padiglione hai capito? Perché gli dici non mi rinviare a stasera perché di più ci vedono di più siamo in galera”.
Lo spaccato di un quartiere in mano alla mafia lo ha fornito il collaboratore di giustizia Sebastiano Arnone: “Con riferimento al padiglioni voglio sottolineare che il 99% degli stessi è abusivo. Il soggetto che controlla questa situazione è Salvatore Vitale, consuocero di Guido Spina, che si occupa di controllare e gestire il tutto. Il Vitale era sottoposto a mio suocero (Salvatore Giordano, poi diventato pure lui collaboratore ndr), Guido Spina e Nicola Ferrara e, quindi, alla famiglia dello Zen. Ogni famiglia paga 10 euro al capo condomino allo Zen, due per tutti i 33 padiglioni per un totale di 88 mila euro al mese. Ogni capo condomino raccoglie 2000 euro al mese e trattiene per se 500 euro come stipendio. Il pagamento a Toni Pirrotta fornisce il servizio abusivo di acqua, luce e pulizie”. Ferrara e Pirrotta erano già stati arrestati in precedenza. Stessa sorte è toccata ora a Guido Spina. Il capofamiglia ha trascinato in carcere anche la moglie Alba Li Calsi e i figli Antonino e Angela.
E adesso si guarda al futuro. Il procuratore Teresi è schietto più che mai: “Dobbiamo evitare di cadere ancora una volta nella trappola di uno come Guido Spina che sfugge al carcere in quanto trapiantato di fegato. Una volta libero si muoveva con disinvoltura nel suo territorio e fuori. Speriamo che sia assicurato alle patrie galere per il tempo che sarà stabilito da un giudice”.