"Bar e affari immobiliari"| Così la mafia ricicla il denaro sporco - Live Sicilia

“Bar e affari immobiliari”| Così la mafia ricicla il denaro sporco

Avviso di conclusione delle indagini per trenta persone. Tra loro, i presunti vertici del mandamento mafioso di Porta Nuova e Vincenzo Coniglio (nella foto) ritenuto il ragioniere del clan. Ricostruito l'acquisto di un bar in via Marchese di Villabianca e il tentativo di acquisire un intero palazzo nel quartiere Borgo Vecchio.

Palermo. Chiusa l'inchiesta Pedro
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Uno è in carcere, l’altro a piede libero. Il primo avrebbe tentato di riciclare il denaro dei boss. Gli è andata male, ma non per demeriti suoi. Il secondo, invece, i soldi della mafia li avrebbe investiti per comprare un bar. Si tratta di Vincenzo Coniglio e Giuseppe Migliore. Sono due dei trenta destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini, preludio della richiesta di rinvio a giudizio. L’inchiesta è quella nata dal blitz dei carabinieri denominata Pedro che nel dicembre scorso ha colpito il mandamento mafioso di Porta Nuova. Nel fascicolo dei pubblici ministeri Maurizio Agnello, Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco sono ricostruite le strategie del clan mafioso, dall’imposizione del pizzo ai metodi per ripulire il denaro sporco. Proprio in quest’ultimo capitolo investigativo si condensano le principali novità.

Fino a pochi mesi fa, Coniglio era un insospettabile parrucchiere di corso Calatafimi. Poi, il giorno dell’arresto, hanno scoperto che in macchina e a casa nascondeva i libri mastri del mandamento retto da Calogero Lo Presti, da qui il nome ‘zio Pedro’ dato all’operazione, e Tommaso Di Giovanni. Una documentazione al vaglio dei carabinieri del Nucleo investigativo e del Reparto operativo. Conterrebbe le chiavi per conoscere i segreti economici di un clan potente e soprattutto ricco. Coniglio avrebbe avuto un compiuto delicato, quello di ripulire montagne di soldi. Ecco perché l’episodio del bar di via Marchese di Villabianca sarebbe la spia di un sistema collaudato. Si presentavano da un imprenditore con i soldi in contanti, mettevano un piede dentro l’attività commerciale e presto ne diventavano i veri padroni. Così sarebbe avvenuto per il bar Dolce In. Coniglio versò il primo acconto di 20 mila euro sui 400 mila pattuiti. E all’indomani era già seduto alla cassa del locale. Era ormai il gestore di fatto, secondo gli investigatori, per conto di Di Giovanni. Da qui l’accusa di riciclaggio contestata ad entrambi, oltre a quella di associazione mafiosa.

Il riciclaggio sarebbe stato solo tentato da Giuseppe Migliore, che gli investigatori definiscono in un’informativa “la faccia pulita dell’organizzazione. Migliore è la persona attraverso la quale Nicola Milano (altro presunto capomafia, ndr) e Tommaso Di Giovanni sarebbero riusciti a realizzare l’affare di Borgo Vecchio”. Si tratta del progetto non andato in porto di comprare un intero palazzo in corso Domenico Scinà, nel cuore del popolare quartiere palermitano. Un immobile confiscato alla mafia per cui la Scinà Società Cooperativa aveva avanzato un’offerta per l’acquisto da un milione e 250 mila euro. Gli arresti di dicembre avrebbero fatto saltare i piani di Di Giovanni e soci.

Di avviso opposto il legale di Migliore, l’avvocato Roberto Macaluso, secondo cui “nulla c’è di illecito nella vicenda. Migliore insieme ad altri inquilini stavano cercando di comprare gli appartamenti dove vivono da anni e per i quali nel 1995 era già stato firmato un preliminare e versato cento milioni di lire”. Di recente qualcuno, non si sa ancora chi, ha deciso di fare esplodere un ordigno, rudimentale ma molto pericoloso, davanti all’ingresso del palazzo.

Questo l’elenco completo dei destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini: Calogero Lo Presti, Tommaso Di Giovanni, Nicolò Milano, Vincenzo Coniglio, Giuseppe Di Marco, Antonino Lo Iacono, Maurizio Pecoraro, Agostino Catalano, Rodolfo Allicate, Francesco Paolo Putano, Giuseppe Autieri, Giovanni Giammona, Domenico Marino, Chirstian Mancino, Salvatore Sampino, Giustino Rizzo, Fanrizio e Giovanni Toscano, Matteo Rovetto, Antonino Zarcone, Gabriele Buccheri, Francesco Chiarello, Nunzio La Torre, Daniele Lauria, Giusto Gagliano, Giuseppe Migliore, Filippo Teriaca, Giovanni Mannino, Gaspare Parisi, Ivano Parrino.

Gagliano e Teriaca rispondono di favoreggiamento perché hanno negato di avere pagato il pizzo. Il primo è un gioielliere accusato di avere versato ai boss i costi dell’intermediazione per acquisire la gioielleria Di Paola nei pressi di piazza San Domenico. Teriaca è titolare della cooperativa Europalermo, chiamata dalla Taodue a lavorare sul set della fiction “Squadra Antimafia Palermo oggi 3”. Per ottenere il benestare di Calogero Lo Presti avrebbe sborsato 5000 mila euro.


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