Caro sindaco... riprendiamoci Palermo - Live Sicilia

Caro sindaco… riprendiamoci Palermo

Felice Cavallaro, nella sua consueta rubrica "L'Infelice" di I love Sicilia, scrive una lettera al nuovo sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. E chiede...

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Visto che ha dimenticato l’aramaico e che conosce la lingua della Merkel, avendo perfino interpretato senza doppiatori la parte di un orologiaio in un film tedesco, dal nuovo vecchio sindaco di Palermo rieletto quasi a furor di popolo possiamo aspettarci un aggancio reale della città al resto d’Europa.

Provando ad accantonare le astiose polemiche di elezioni avvelenate come mai era accaduto, soprattutto a sinistra, da Leoluca Orlando si attende adesso un salto di qualità rispetto al declino degli ultimi anni. Ovvio che sarà dura per lui mantenere le promesse fatte a dipendenti di aziende e società ingrassate anche da precari, in buona parte, un tempo benedetti e agevolati dallo stesso ex sindaco che ex non è più. E speriamo per il bene di tutti che abbia davvero la capacità di far fronte a un disastro da catalogare come un problema politico seppure spesso ridotto e vissuto solo come un problema di ordine pubblico.

Alla speranza che Orlando sappia indicare il passo di marcia per superare queste atipiche forme di welfare, comuni a tutto il Mezzogiorno ma qui amplificate a dismisura, bisogna aggiungere l’auspicio di una svolta capace di poter fare respirare una città soffocata. Per rianimarla. Offrendola al mondo con la sua cultura, le piazze da rivitalizzare, i caffè concerto, gli spazi creativi, i musei da accendere la notte, come un tempo accadde per lo Spasimo, come si dovrebbe poter fare con i teatri e i luoghi delle istituzioni pubbliche. Un modo per rendere attivi e produttivi contenitori che debbono trovare in queste attività il modo di risultare remunerativi, anche con sane e controllate attività commerciali, compresi spettacoli ed eventi, e caffè o ristoranti.

Comprendo che si tratta di un campo minato, col rischio di svilire i gioielli di famiglia, ma non considererei uno scandalo l’apertura di un ristorante anche dentro il Teatro Massimo o (sento già una raffica di vibrate e scandalizzate recriminazioni!) dentro Palazzo dei Normanni. E non per la scontata battutaccia che da quelle parti sia consuetudine “mangiare”. Tutt’altro. Vorrei indicare al nostro sindaco “tedesco” il piacere di larghe schiere di danarosi avventori che ogni sera cenano senza scandalo sotto la straordinaria cupola vetrata del Reichstag, il parlamento di Berlino con vista sulla città, il ristorante piazzato quasi sull’aula parlamentare più trasparente del mondo, così come la pensò dopo la caduta del muro Norman Foster.

Si muove in questa direzione il gioiello ritrovato di Palazzo Branciforte, ristrutturato nel migliore dei modi da quella che adesso si chiama “Fondazione Sicilia”. Anche qui un ristorante di primo livello, annunciano. Come s’è fatto alla Galleria d’arte moderna, spesso senza gran risultati. È il modello che, forse con qualche errore iniziale, il sovrintendente del Massimo Antonio Cognata aveva sperimentato subendo polemiche infuocate per il cenone di Capodanno, subito accusato di violare il tempio. No. Può essere un modo di vivere meglio i luoghi della cultura, soprattutto se aiutano la cultura stessa a camminare sulle sue gambe, in tempi di crisi, di tagli, di ristrettezze.

Piccoli suggerimenti per un segmento dei grandi guasti che si presentano al nuovo paladino già indicato come l’Orlando IV, trattandosi della sua quarta prova a Palazzo delle Aquile. Guasti che comporteranno rivoluzioni e repulisti. Ma speriamo fuori da uno spoil system finalizzato a piazzare solo fedelissimi. Magari ignorando, se ci sono, i risultati che anche un tecnico chiamato a collaborare dal predecessore può aver prodotto. Non so cosa accadrà nel tempio della lirica, come non so cosa si farà in altri teatri, a cominciare dal Biondo. So per certo che interventi seri nella gestione, nella produzione e nella gestione del personale si impongono in questi e altri casi.

Auguriamo al condottiero senno ed equilibrio, pur con suggerimenti forse non necessari, anche perché, dopo l’esordio delle prime arroganti battute post scrutinio, Orlando sembra aver recuperato ironia e pacatezza, oltre che dovuta determinazione.

Ricordiamogli solo che, forse, quel che alle primarie impedì a molti di votare al primo colpo la Borsellino più di un’effettiva simpatia per Ferrandelli era l’antipatia suscitata da alcuni accompagnatori e sponsor della sorella del giudice, capaci di riproporre volenti o no l’atteggiamento di chi è pronto a dividere il mondo in buoni e cattivi, a riaprire l’ufficio bolli su chi sbaglia, devia, non s’adegua. Quasi come ai tempi della prima “primavera” con tante cose buone e questa contraddizione in evidenza. La stessa poi implosa al punto da spaccare i rapporti in quella che fu la Rete e nel patto di finto acciaio con padre Pintacuda, tanto per fare il nome legato al più misterioso e mai chiarito dei divorzi di Orlando.

Tanti giovani lettori saranno disorientati, ma resta a chi l’ha vissuto il ricordo di una stagione in cui tanti si autoproclamavano professionisti del bene contro l’opposto che, in quanto opposto, per definizione è il male, ovviamente.

Palermo è anche città oscena e impastata dove si rendono spesso obbligatorie scelte drastiche, ma sarebbe un ulteriore danno utilizzare malamente e per i propri fedelissimi il successo conquistato a furor di popolo, per la verità di mezzo popolo, considerata l’alta astensione dal voto.


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