"Ficuzza 20 agosto 1977, io c'ero" - Live Sicilia

“Ficuzza 20 agosto 1977, io c’ero”

IL RICORDO DI CARLO FERLISI
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3 min di lettura

Trascorrevo a Ficuzza il mese di agosto, di ogni anno, tutti gli anni. Nel 1977 ne avevo 14 di anni. Ed era un’emozione particolare andare a Ficuzza ogni anno, ritrovare gli amici, sempre gli stessi, con in anno in più. Ero adolescente, spensierato, andavo con la famiglia, i miei genitori, le mie due sorelle.

L’ultimo tratto di strada che portava alla piazza mi toglieva il fiato, ogni anno, ad agosto. Il mese più bello dell’anno, per me. Ficuzza era un briciolo di abitanti, quasi tutti parenti, e poi noi villeggianti che arrivavano ogni estate, sempre gli stessi. E i “ficuzzani” lo sapevano quando arrivavamo, noi villeggianti, non appena giungeva una macchina, già dall’obelisco, prima del campo di calcio e del cimitero, loro già sapevano chi stava arrivando. A Ficuzza si giocava a tennis, a pallavolo, a calcio nella piazza. Era enorme per noi, come un campo di calcio regolamentare. Si andava in pineta, a passeggiare, a raccogliere pigne per mangiarne i pinoli, arrostiti.

A Ficuzza la sera c’era freddo, si cenava e si scendeva con i maglioncini; mia madre mi diceva sempre: “Portatelo che c’è freddo”. Lì le porte non si chiudevano, eravamo come una mega famiglia. Un solo bar, poi due, la pizzeria. Un tabaccaio con il telefono pubblico. Telefonare era una impresa. Bei tempi però, tecnologia fantasma, vita sana. Non c’era niente a Ficuzza ma era bella lo stesso, solo solo per la natura. C’erano due comitive, quella dei grandi, di età media sui venti/venticinque, e quella dei giovani, età media sui quattordici/diciassette, o giù di lì.

Io appartenevo alla comitiva dei più giovani. La vita si svolgeva quasi tutta in piazza. Mega partite di calcio di giorno, per soli maschi, pomeriggio sotto il pino secolare, a suonare la chitarra, mentre la sera di solito si passava a “Montecitorio”, guardando il Palazzo Reale, la scalinata sulla sinistra, quella in semioscurità, dove nascevano i primi, teneri, candidi amori. La scalinata sulla estrema destra, molto illuminata e ingresso della piccola chiesetta, era denominata “Vaticano” e ci si andava solo se Montecitorio era pieno (i gradini erano tre, per una lunghezza di due metri e mezzo circa, potevano contenere massimo 12/15 persone).

Quella maledetta sera, dopo cena, si suonava la chitarra sotto il pino secolare, tutti in cerchio, tra un Baglioni e un Battisti, le canzoni dell’epoca. Ad un certo punto arriva una macchina, non ci facciamo caso, anche se di auto a Ficuzza ne circolavano davvero poche, e residenti e villeggianti andavano tutti a piedi. Si sentono dei botti, in sequenza, sembrano mortaretti. Noi siamo seduti a terra, non capiamo, non vediamo, l’auto ci copre “la visuale”. Per fortuna. Dura poco ma sembra un’eternità. Giriamo gli sguardi proprio dove sentiamo i rumori, vediamo soltanto l’auto andare via, lentamente, senza premura. Continuiamo a non capire, due corpi sono a terra, immobili, ma non si vedono. Poi sentiamo le urla, ci alziamo tutti contemporaneamente, senza capire, rimane solo la mia chitarra sotto il pino. Sarà venticinque, trenta metri la distanza tra noi e il duplice omicidio, non ci rendiamo conto se non soltanto quando tutti i genitori, accorsi in fretta e furia, ci prendono al volo e ci allontanano dal teatro della tragedia.

Quella sera, per molti di noi, ragazzini, forse per tutti, oltre al dolore per l’accaduto, si è come spezzato un incantesimo, qualcosa è finito per sempre. Si è chiuso il portone delle nostre vacanze, le più belle. Indimenticabili. Ne parlo oggi, dopo 35 anni, e mi sembra ieri. In questi anni sono stato a Ficuzza due o tre volte, ma non è più quella di 35 anni fa, quella del 20 agosto del 1977, quella che ha spento due vite ed i sogni di tanti ragazzi.

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